martedì 2 dicembre 2014

Denis Urubko: presto sul K2 per una super invernale

Ecco quanto pubblicato su L'Eco di Bergamo la scorsa settimana. Denis partirà presto per quella che, a ragione, può essere definita "una delle più grandi imprese alpinistiche di sempre". La notizia è già stata data dai maggiori siti di informazione specializzata, non mi dilungherò pertanto su dettagli già noti. 
Mi ha spiegato che, per ovvi motivi, potrebbe avere difficoltà a comunicare (anche se possiede un valido satellitare) ma che, ad ogni modo, farà tutto il possibile (e forse anche l'impossibile) per inviare aggiornamenti legati al tentativo di salita. Stay tuned... 



Da Bergamo (e per la precisione da Albino) fino al Nepal, per tentare una salita destinata ed entrare nella storia dell’alpinismo. 
Denis Urubko, il leone degli 8000, kazako oriundo russo da qualche anno trasferitosi nella nostra Val Seriana, è di nuovo in partenza. E questa volta per compiere l’ascesa al K2 in inverno, senza ossigeno e per una via mai tentata prima d’ora. 
Espugnare la parete da nord-est, e poi su, fino alla vetta, a quota 8.609 metri. E insieme a lui, quando le sue mani stringeranno la ricetrasmittente per annunciare al mondo “We are on the summit”, ci sarà anche un pezzettino della Città dei Mille.
E’ stato infatti consegnato nelle mani di Denis, nel tardo pomeriggio di lunedì, il drappo di stoffa prodotto in materiale leggerissimo e super resistente, con gli stemmi del Cai e del Coni provinciali, che lo sostengono in questa impresa, insieme alla sezione del Cai di Leffe che, in occasione del cinquantesimo anniversario, ha deciso di appoggiare l’alpinista di Albino.
Il biondo Urubko, che aveva già tentato il K2 da nord nel 2003, è l’uomo che è arrivato più in alto su questa montagna in veste invernale, toccando quota 7800 metri.
Alla cerimonia di consegna, che si è svolta presso la Casa dello Sport di via Gleno, hanno partecipato l’ex e l’attuale presidente del Club Alpino Italiano, Paolo Valoti e Pier Mario Marcolin, e Giuseppe Pezzoli, delegato Provinciale del Coni a Bergamo.

Durante il discorso di apertura Valoti ha sottolineato che Denis, socio della sezione locale del Club Alpino Italiano dal 2004, è nato nel 1973, anno del centenario della stessa, come per dire che il suo legame con Bergamo è, in qualche modo, scritto nelle stelle.
Denis, dopo aver più volte ringraziato i presenti e manifestato il proprio orgoglio per far parte del Club Alpino del Paese che l’ha accolto a braccia aperte, ha raccontato dell’ascesa. Insieme ai compagni Alex Txicon (basco) e Adam Bielecki (polacco) arriverà, tra la fine di dicembre e l’inizio del nuovo anno, a montare il primo campo base sotto al K2 e a salire (per la seconda volta, a 12 anni di distanza dal primo tentativo) fino alla cima. Con gli stessi, da lui definiti “compagni affidabili e coraggiosi”  a maggio di quest’anno ha raggiunto la vetta del Kangchenjunga, dal versante a nord, aprendo una nuova via.

Sebbene amante dello stile alpino, date le condizioni etreme del K2 in invernale, questa volta la salita “one shot” gli sarà impossibile. Si monteranno i vari campi e si procederà con il normale acclimatamento. Il  versante est, da come lo descrive lui, appare “Meno ventoso e quindi più percorribile, salvo una zona rocciosa di circa 500 metri già a quota 8000, che sembra davvero dura”.

Ta'



martedì 25 novembre 2014

Angelika Rainer, la regina dei ghiacci

Buongiorno a tutti. voglio riportare di seguito un paio di articoli che ho pubblicato (Prima su Stile Alpino e poi su L'Eco di Bergamo) sull'amica (questo termine mi rende orgogliosa) Angelika. Atleta che spero di poter aver modo di seguire anche in futuro :)




STILE ALPINO - LA RIVISTA DEI RAGNI DI LECCO

Quando vedi le foto invernali di Helmcken Fall (Canada), non puoi che rimanere a bocca aperta e pensare chi mai possa essere in grado di salire quelle enormi, mostruose stalattiti di ghiaccio che, con fare minaccioso e fascino indescrivibile, incorniciano l’enorme cono di neve e ghiaccio che si trova alla base della cascata e dentro il quale l’acqua, cadendo dall’alto, vi si getta con un fragore assordante. Te lo immagini, quel frastuono, e quasi ti pare di sentirlo. Le figure di ghiaccio che si formano sulle pareti della grotta, alta 150 metri, non sono altro che gli spruzzi della cascata che, complici le rigidissime temperature dell’inverno canadese, solidificano contro la parete. Una meraviglia della natura e un sogno per i migliori iceclimber.
Pensare poi di intervistare l’altoatesina Angelika Rainer, prima donna che nel 2014 si è messa alla prova su questo terreno, è estremamente emozionante.
Angelika, se non la conosci, finisci con l’immaginartela come una donnona grossa e forzuta (come quelle che vedi alle Olimpiadi nel lancio del peso o del giavellotto) perché, per fare quello che fa, ci vuole forza.
Poi la vedi e ti accorgi che è esattamente il contrario. Al nostro incontro si è presentata in pantalone bianco, sandalo non troppo alto e magliettina nera ricamata. Sul metro e sessantacinque e decisamente magra, mai e poi mai te la immagineresti appesa nel vuoto, a diversi gradi sotto lo zero, tra colonne di ghiaccio che potrebbero cadere da un momento all’altro. Questo fino a che non ti trovi davanti alle fotografie e non ascolti la sua storia. Le si illuminano gli occhi quando comincia a raccontare , davanti ad un Martini bevuto in Bergamo, della spedizione che a febbraio del 2014 l’ha portata, insieme al compagno Marco Servalli e al fotografo Klaus Dell’Orto, oltre oceano per provare la cascata.
Una spedizione da “toccata e fuga”: quattro giorni per portarsi a casa una via, dopo un volo di venti ore e un viaggio in macchina di dieci (sotto una nevicata fittissima), per arrivare nella zona delle Rockymountains a nordest di Vancouver (British Columbia).
Il luogo è stato “scoperto” nel 2009 dal canadese Will Gadd e dall’inglese Tim Emmett che hanno effettuato la prima salita della linea Spry On, provvisoriamente gradata WI10.
“L’idea di essere la prima donna al mondo a provare queste vie, una volta viste le immagini e letto i commenti dei due top iceclimbers, mi ha subito galvanizzata. Il muro della cascata, largo almeno 300 metri, è molto più grande di come lo si possa immaginare ed ha un potenziale altissimo. Quando parcheggi l’auto su quello che nel periodo estivo è il belvedere dal quale i turisti si affacciamo ad ammirare la cascata, non riesci a vederla in tutta la sua maestosità. Da lì cominci a scendere in un bosco ripido e infine, per ovviare ad un salto, sei costretto ad una calata di una quindicina di metri. Insomma, arrivi giù, giri l’angolo e te la trovi davanti. E’ colossale e incute anche un certo timore. Verso mezzogiorno, nella settimana in cui siamo stati ad Helmcken, la temperatura saliva intorno agli zero gradi e le stalattiti (le più grosse erano dei veri e propri camion che pendevano dal soffitto) cominciavano a sciogliersi e a staccarsi”.

Angelika racconta concitata, quasi stesse rivivendo quei momenti, davanti al bicchiere che rimane pieno. Le parole scorrono come un fiume in piena e ci spiega che, nel comunicato stampa fatto girare prima della spedizione (sponsorizzata da Berghaus), annunciava la salita di Wolverine, via aperta da Emmett insieme allo sloveno Klemen Premrl nel febbraio 2012 e gradata WI11. Se su questa linea non avesse trovato le condizioni idonee alla salita avrebbe optato per salire Spray On. Per prepararsi a questa impresa, sempre insieme a Servalli, si è recata nel dicembre 2013 nella regione di Alberta (sempre in Canada) e ha scalato Steel Koan nella celeberrima Cineplex Cave, vicino al Lake Luise. (ndr. Per i non addetti ai lavori Steel Koan è la via di misto più dura del Canada).





ECO DI BERGAMO

Nome: Angelika. Cognome: Rainer. Professione: alpinista, arrampicatrice, iceclimber. Residenza: sulle carte è ancora altoatesina ma di fatto si è trasferita,  da un paio d’anni, nel comune di Gandino, in Valle Seriana, dove vive insieme al compagno Marco Servalli.
Succede qui, in provincia di Bergamo, che vai a fare benzina oppure la spesa al supermarket e ti ritrovi lei, la campionessa del mondo di arrampicata su ghiaccio, in coda per pagare alla cassa.
Il suo viso, facendo capolino su siti e riviste di settore, è ben noto agli appassionati di montagna. Ma se non te ne intendi di queste cose, e quindi non la conosci, la campionessa potrebbe passare inosservata. Perché lei, Angelika, è una tipetta semplice e riservata. Parla a bassa voce, chiede “per favore” e ha il sorriso facile. Veste come qualsiasi altra ragazza e a tradirla, forse, è solo l’accento piuttosto marcato.
Atleta di fama internazionale, la sua vita si svolge tra Gandino (dove vive con il compagno Marco), Merano (dove risiede la famiglia d’origine) e i luoghi magici che fanno da cornice alle sue spedizioni e che spaziano da un lato all’altro del mondo. Questo non le impedisce di essere attiva anche nel territorio in cui vive. Ieri sera, per esempio, ha partecipato ad uno speciale allenamento organizzato dal gruppo di arrampicata sportiva Koren, nella palestra dell’oratorio di Gandino, mettendosi a disposizione di chiunque volesse allenarsi insieme a lei. E’ strano pensare che invece, fino ad un paio di settimane fa, era ad allenarsi in Corea, in vista della Coppa del Mondo di iceclimbing, e che poi da lì sia volata direttamente in Giappone (a Seoul), prima di tornare a casa, a Gandino. Tra tre settimane, invece, sarà la volta degli Usa, in Montana, dove disputerà la prima tappa di Coppa del Mondo di arrampicata su ghiaccio.
Senza farsi pregare, e con il solito sorriso stampato in faccia, ci racconta come ha iniziato e quali sono gli intrecci che l’hanno portata a vivere nel cuore delle Orobie bergamasche.
“Sono nata a Merano nel 1986. Da bambina mia madre mi portava a fare lunghe passeggiate sulle montagne di casa. Il contatto con la roccia, sempre grazie a mia madre, è stato amore a prima vista. E’ sempre la mamma che, assecondando la mia naturale passione, mi iscrive a 12 anni ad un corso di arrampicata per ragazzi organizzato dalla palestra della mia città. Dopo pochissimo partecipo alla mia prima gara (peraltro anche la prima competizione di arrampicata giovanile regionale organizzata in Alto Adige). Arrampicare mi piace moltissimo, sia sulle pareti artificiali che in ambiente naturale. Nel 2008 realizzo la prima salita femminile della via “Italia 61” in Dolomiti”.
Nonostante i successi su roccia, tuttavia, Angelika si accorge di desiderare nuove sfide e nel 2005, quasi per caso, partecipa ad una gara di dry tooling (arrampicata con piccozze su roccia) a Bolzano, vincendola. E’ la seconda volta che Angelika, nella sua vita, impugna le piccozze. Ed è  proprio in questo anno, nel 2005, che la Rainer arriva per la prima volta a Gandino, per partecipare ad una tappa di Coppa Italia di boulder e dry tooling. In questa occasione conosce Servalli. Ognuno tuttavia ha la propria vita privata e i due rimangono semplici conoscenti per diversi anni. La svolta avviene nel 2009.
“Era il mese di dicembre ed era il mio primo viaggio in Russia. La gara era vicinissima e non riuscivo a sistemarmi con i vari permessi. Sapendo che Marco, per lavoro, aveva già avuto a che fare con la burocrazia russa, ho pensato di contattarlo e di chiedere il suo aiuto. Ecco, credo sia iniziato tutto quel giorno. Ora Bergamo è la mia casa. I bergamaschi, in particolare il gruppo di arrampicata Koren, mi hanno accolta come una di loro, persino lasciandomi mettere, sulla loro struttura artificiale, delle prese su cui salire con le piccozze”.
Nel 2008 Angelika conquista la prima vittoria di Coppa del Mondo e nel 2012 si aggiudica la classifica generale della Coppa del Mondo di arrampicata su Ghiaccio.
Ha inoltre vinto tre Campionati del Mondo consecutivi nel 2009, 2011 e 2013. In tutte queste imprese il compagno Marco è sempre stato al suo fianco. Lo scorso inverno è stata la prima donna a scalare una linea di ghiaccio ad Helmcken Fall (Canada): una cascata alta 150 metri i cui spruzzi, complici le rigidissime temperature dell’inverno, creano enormi stalattiti di ghiaccio che pendono dalle pareti della grotta che gli sta alle spalle. Su queste stalattiti, talvolta alte come dei bus, Angelika è salita con ramponi e piccozze, a diversi gradi sotto lo zero. Per prepararsi a questa impresa, sempre insieme a Servalli, si era recata nel dicembre 2013 nella regione di Alberta (Canada) e aveva scalato Steel Koan nella celeberrima Cineplex Cave (ndr. Per i non addetti ai lavori Steel Koan è la via di misto più dura del Canada).



lunedì 4 agosto 2014

Reda Rewoolution Orobie Ultra Trail



A poche ore di distanza dall’arrivo in Città Alta a Bergamo, l’atleta spagnolo Pablo Criado aveva già aggiornato il suo profilo Facebook: “Orobie Ultratrail, increible!!! La carrera del 2015!!!”.
Si è conclusa nella giornata di sabato la tanto attesa “edizione zero” di Reda Rewoolution Orobie Ultra Trail, la super gara di corsa in montagna che si svolgerà a luglio del prossimo anno e per cui questi tre giorni (da giovedì a sabato) passati a correre su è giù per le nostre montagne sono stati solo il giro di prova. Una prova, se così vogliamo chiamarla, quanto mai necessaria per organizzare al meglio la formula competitiva della prima edizione. Al seguito del gruppo anche il fisioterapista Giorgio Piccioli di Sarnico, pronto a prestare servizio in caso di necessità.





Quattordici gli atleti, italiani e non, ma pur sempre con quadricipiti d’acciaio, quelli che si sono messi in gioco su questo tracciato che ha riservato non poche sorprese. Parliamo di atleti veri, di gente che dedica la propria vita o parte di essa alla corsa in montagna e che all’arrivo riesce a presentarsi comunque con il sorriso, nonostante la fatica. Tra questi anche il top level Marco Zanchi che, bergamasco doc, ha fatto da guida e referente per l’intero percorso. E proprio loro sono stati invitati da Spiagames, agenzia organizzatrice dell’evento, a testare il tracciato. Affinchè potessero fornire un parere oggettivo sulla competizione 2015 e dare suggerimenti circa possibili miglioramenti.
Tre tappe della lunghezza complessiva di circa 140 chilometri, di cui circa cinquanta il primo giorno, una settantina il secondo ed i restanti chilometri il terzo, affrontate con il bel tempo o per lo meno senza pioggia, toccando alcuni tra i più belli o i più impegnativi dei rifugi orobici. La sorpresa, quella vera per noi che li abbiamo seguiti (forse con un pizzico di sana invidia), non sono state solamente le opinioni più che positive circa l’unicità del paesaggio Orobico e l’estrema durezza della competizione, ma come i ragazzi hanno affrontato il percorso. Pur senza rallentare troppo l’andamento hanno spontaneamente deciso, anche se non previsto, di fare un salto nei rifugi, due parole con chi in montagna ci lavora davvero e valutare l’impatto che la competizione in programma potrebbe avere sul territorio.

“Io non so se riesci a scriverlo sul giornale, ma se puoi non parlare tanto di noi e delle tappe, ma di quanto sono entusiasti i rifugisti per questo evento. Sono stati fantastici. Ci hanno accolti a braccia aperte, offrendoci  ristoro e dichiarandosi favorevolissimi alla gara”. A parlare è Cinzia Bertasa, una delle tre donne (semiprofessioniste) che hanno preso parte alla tre giorni. Finalità dell’Orobie Ultra Trail, oltre ad essere un evento sportivo di tutto rispetto, è proprio quello di valorizzare le nostre montagne, tutte le realtà ad esse connesse (con particolare attenzione ai rifugi), nonché la città di Bergamo.
Veniamo ora alle osservazioni tecniche emerse circa il persorso. Una gara veramente impegnativa ed estrema, anche a parere degli Spagnoli Pablo Criado e Lucas Boix, i cui primi 90 chilometri sono montagna vera e aggressiva, su un tracciato più da Skyrunning che da trail, reso oltretutto più impegnativo dallo stato non ottimale dei sentieri, a volte poco curati, disconnessi e a risalti. Da Clusone, passando sotto la parete Ovest della Presolana, toccando Valbondione e risalendo lungo il sentiero che porta al Brunone, svalicando poi in val Brembana (rifugi Calvi, Gemelli, Alpe Corte e Capanna 2000) fino a Zambla, per arrivare da Selvino e da lì fino a Bergamo (arrivo in Sant’Agostino) passando per la Maresana. Un giro lunghissimo, in un  contesto selvaggio e con pochissimo asfalto. Definita dai partecipanti tecnicamente più dura del trail del Monte Bianco, potrebbe essere una delle nuove sfide per i runners di domani.
Da L'Eco di Bergamo del 04/08/2014

martedì 15 luglio 2014

15/07 Il mio ultimo parto, genesi delle idee... partorisco sempre più spesso!

L'idea quando ancora non esiste... (vedi alla fine)

La nascita è, di fatto, un aborto mancato. Le idee vengono partorite (in maniera cruda: espulse, in maniera poetica: vengono alla luce). Ergo, ne consegue che ogni idea, ogni singola intuizione, ogni parola messa nero su bianco, poteva non esistere oppure essere diversa da come è. Noi stessi potevamo essere diversi, perché quello spermatozoo, proprio quello, poteva innanzitutto appartenere ad uno sconosciuto che non aveva gli occhi di nostro padre. Perché i geni avrebbero potuto combinarsi in maniera diversa. Insomma, nel calcolo delle probabilità  sarei potuta nascere alta, bionda, gnocca e con gli occhi azzurro cielo, avrei potuto avere la voce di una sirena, la grazia di una gazzella e nel contempo essere veloce come il più veloce dei ghepardi. Avrei potuto essere mille e mille cose. Sono Tatiana, e tanto mi basta.

Ma proprio quello spermatozoo ha deciso, proprio in quel momento, di corteggiare quella pallina insignificante e rosata che si chiama ovulo, e i geni di combinarsi in quel dato modo, e le basi azotate si sono messe a braccetto adenina con timina e guanina con citosina. Non hanno fatto casino. E sono nata io.

Per le idee è esattamente la stessa cosa. C'è il momento giusto. C'è l'attimo in cui ti rendi conto che ti devi mettere e scrivere. Perché in quel momento, solo in quello, potrebbero venire fuori le cose migliori. Uno stesso testo, in un altro momento, costituirebbe un aborto. Non verrebbe proprio alla luce. O non verrebbe come deve venire.

Il mio ultimo parto è avvenuto in Grignetta. Venerdì: l'azienda mi chiama a rapporto e mi spiega che ci sono tre oggetti da pubblicizzare e che non sanno ancora bene come fare. Di pensarci e di tornare lunedì con delle idee. Panico. Non ho l'idea. Devo avere l'idea. Insomma devo rimanere incinta al più presto! Chiamo l'amico più fidato, quello che non mi direbbe mai di no e gliela butto lì. "Zaino e sacco a pelo, partiamo tra un'oretta e passiamo la notta fuori, ti va? Altrimenti vado da sola. Qua bisogna staccare!". La risposta è pronta e mi piace "Figata! Ora preparo lo zaino...Ma la meta si può sapere?". "Sì certo, saliamo questa sera in Grignetta, si cena e si dorme su in cima nel bivacco di ferro, domani si scende (che bisogna lavorare)". Così è stato: Pian dei Resinelli, partenza, arrivo giusti giusti per mangiare il tonno e stappare il vino, temporale da paura, mattino.
Durante la discesa la mente era leggera, libera. Un sacco di ispirazione. Un sacco di idee. Un parto insomma! Quello era il momento giusto. Perché a me certe cose ispirano. La montagna mi ispira. Succede sempre, ogni volta, ormai lo so e ci posso fare affidamento, sulla montagna.

Tempo di mettere il piedino in casa e stavo scrivendo. Bello, a volte alcune cose servono proprio.



... L'idea che diventa reale (parto avvenuto con successo!)

martedì 8 luglio 2014

C'è chi vince una battaglia, ma io vinco la guerra...


Bolivia, Salar di Ujuni
Sono in viaggio. E quando sei in viaggio mica ti puoi fermare. Puoi sostare, decidere di passare un po’ di tempo a fare nulla, perdere un giorno per poi recuperarlo strada facendo, ma due cose non puoi assolutamente fare: una è fermarsi, l’altra è tornare indietro.
Da un po’ di tempo non ho più tempo. Ogni momento, ogni singolo attimo della mia vita sembra scadenziato con meticolosa precisione. Apro l’agendina, quella con le coccinelle rosse, acquistata apposta perché mi portasse fortuna, e su ogni pagina c’è qualcosa. Sono cose diverse: un incontro, un pezzo da scrivere, notizie da cercare, curriculum da mandare, persone da chiamare. E’ bello vederla, la mia agendina dico. Mi soddisfa pensare che un anno fa queste pagine erano tutte bianche e che ora non lo siano più. Ma la cosa più bella è che io ci credo. Forse sono l’unica a crederci, però ci credo. Da un po’ di tempo penso che se uno ce la mette tutta, ma tutta tutta, senza sperare in risultati immediati, prima o poi ce la farà. Che le belle cose arriveranno, bisogna solo volerle. Come dice mia mamma le cose per ottenerle bisogna volerle, ma volerle molto. E io le voglio, decisamente.
Da un po’ di tempo tutte le mattine mi sveglio con una stupida emicrania. Apro gli occhi, faccio una smorfia, dico “che male”, poi sorrido e penso “sarà l’aureola di SantaTà”… Ma poi mi alzo e vado a fare quel lavoro, l’unico sempre per citare le parole della mamma, che mi dà da mangiare. Finito quello, nel primo pomeriggio, inizio a rincorrere il lavoro che non mi sfama il corpo (perché per quello potrei davvero morire di fame) ma l’anima. E penso che quando arriverà il giorno, (perché arriverà!), in cui oltre all’anima sfamerà anche il mio corpo, beh quel giorno sarà IL grande giorno.
Poi un giorno ti svegli e scopri di avere un occhio tutto gonfio. Tanto da non voler uscire di casa. Il giorno prima si era gonfiato il labbro. La testa continua a fare male… e anche il collo, da domenica ha un po’ di torcicollo. Ci sono tre pezzi da scrivere, un appuntamento nel tardo pomeriggio, il solito lavoro e ‘sto occhio che ti fa venire voglia di sparire. E poi c’è chi immancabilmente ti ricorda che dal punto di vista della salute fai schifo e che da bambina eri sempre ammalata, che pertanto ora non puoi pretendere così tanto dal tuo fisico, che devi fermarti un attimo e farlo riposare. E pensi che non è possibile, che è sempre la stessa storia, appena te ne approfitti un po’, appena cerchi di tenere testa al tuo entusiasmo, il tuo fisico non ti sta dietro e (da buon rottame quale è) si procura piccoli mali di ogni tipo.
Va bene. Oggi ha vinto. Ma ha vinto una battaglia. Mica la guerra. Quella, la guerra, come sempre, la vinco IO.

sabato 5 luglio 2014

5/07/2014 Sempre ascoltare i piccoli segni del destino




 
Ore 6.30. La sveglia suona. #Macchegiornoè?#
Già, è sabato. Già,  sono stanca. Già già già. E il meteo dà bello su tutta l’Italia tranne che al nord (quindi come dice una patatonza che conosco, mica su tutta l’Italia!). Già. Ma quello è un raggio di sole che si insinua tra le persiane? Lo è? No… maledetto raggio . Chiudi gli occhi. Girati. È suonata solo perché non avevi tolto “l’orario lavoro”. Già. Ok… mi alzo solo perché la mia vescica me lo ordina e poi ricollasso a letto. Giàààà… Ma quello è uno squarcio di azzurro! Maledetto azzurro! OK HO DECISO, VAL SERIANA: BRUNONE! Pantaloni, maglia, felpa… anzi no, mutande, reggiseno, pantaloni, maglia.. Così sono nell’ordine giusto! Macchina… anzi prima da mangiare al coniglio.. macchina e sono sulla strada!

Benzina, imbocco la superstrada e… ta-daaan: Strada chiusa per (lavori???) e deviazione. ‘Sti qua in completino giallo fluò mi buttano sulla strada per la Val Brembana. Ma nooo… ora mi tocca tornare, prendere la strada normale e… Anzi no. Questo è il destino. Me lo sta urlando in faccia: oggi no Val Seriana, oggi sì Val Brembana. Qualche attimo di esitazione. E sono in macchina e rido da sola. Ma dove caxxo sto andando? Boohhh… E di colpo tutte le tensioni della settimana lasciano il posto alla mia sconfusionata allegria. Sola. Meta indefinita. In corsa verso il destino. Mi piace.
Guida e guida, vai e vai… Carona. Guardo i cartelli… dove vado? Calvi, Longo, Gemelli… quale? Allora faccio la prova. Accosto. Un signore con dei pantaloni decisamente sgualciti, appena uscito dal bar, mi guarda con aria interrogativa. “Scusi, devo parcheggiare per salire al rifugio. Dove mi consiglia di parcheggiare?” E lui “Ma dove vuoi andare? Ai Laghi Gemelli?”…. “Sì, proprio quello, la ringrazio tanto!”.
Alzo il finestrino e vado a parcheggiare alla diga…  poi mi viene in mente che gli avevo chiesto dovevo potevo posteggiare, al signore!!! Eppace..avrà pensato fossi matta!

Scendo dalla macchina e vado verso il sentiero. Un tizio sta rimirando la cartina delle montagne posta all’attacco del sentiero. Si gira. Lo guardo. Mi guarda. Lo riguardo e… scoppiamo a ridere. “Ciaooooo….allora ci si rivede?”. E’ lo stesso tizio che incontro ogni tanto quando vado in giro a camminare per i fatti miei. Lui con la macchina fotografica. Io idem. Ma ci becchiamo solo quando giriamo da soli. Non ci si conosce… se non in montagna. Salendo riprendiamo il discorso iniziato un annetto fa, quando feci il periplo della Presolana. Gli racconto che ho dato le dimissioni da scuola e che sto provando ad inseguire un sogno. Che ce la metto tutta. Che c’è quel tal progetto top secret e che potrebbe comportare un’altra cosa (non si parla mai dei progetti top secret quindi, o lettore, perdonami e sostituisci quello che ti pare al concetto di progetto top secret!!!). Lui mi dice “Ma dai? Ma davvero? No perché se la tal cosa dovesse accadere, sai, il marito di mia cugina è il direttore del giornale tal dei tali (faccio riferimento a una testata nazionale) e secondo me potrebbe interessare… anzi, visto che ti ho incontrata sempre in montagna e visto che mi sembri in gamba, se vuoi ti metto in contatto io, senza problemi. Lui è una persona squisita”. Sgrano gli occhi. Figo. “Benissimo. Sarebbe fantastico”. Poi aggiunge “Senti, per il tuo progetto top secret ok, ma senti, facciamo una cosa trova una cosa qualsiasi da scrivere, una scusa insomma perché io ti metta in contatto con lui… Magari non ne viene nulla, però, chissà…”.
Chissà. E’ quel chissà il lato della vita che mi entusiasma. E dire che io, oggi, in Val Brembana, non ci dovevo neppure venire. Già!
Ta’

 

martedì 10 giugno 2014

8 giugno 2014 Chattando si finisce scalando (Special guest: i Ragni di Lecco)

Via: Attenzione caduta vipere allo Schenun, Val Masino (strada che conduce ai bagni)
Grado: 6a max


Perché a volte basta un messaggio inviato tramite Facebook a cambiare tutto. Beh, magari proprio tutto tutto no, ma il fine settimana quello sì, cambia, eccome se cambia. Ti ritrovi a vivere un’esperienza assolutamente diversa (e perche no, divertente) e a conoscere persone nuove e probabilmente anche un po’ speciali in un contesto nel quale mai e poi mai avresti pensato. Il luogo in questione è la Val Masino: quella piccola perla di granito che, chi mi conosce lo sa, mi riempie il cuore ed è stata più volte meta dei miei fine settimana di “fuggi fuggi” dalla quotidianità. Perché fuggire, in Valle, è di una facilità che lascia quasi sgomenti: sia che cammini, che scali, o che fai una beatissima m…chia, in Valle ci stai bene comunque. Perché il Mello, in fondo, è sempre più blu!
Questa volta niente prestazioni (e quando mai ne faccio??!!) ma una giornata a “seguire” (la parola non è piazzata a caso) un’uscita del corso roccia dei Ragni di Lecco. Perché la vita è così: tre giorni prima il nome Ragni risuona nella mente come un qualcosa che sta tra l’epico ed il mitologico: nomi unici ed altisonanti che hanno letteralmente costruito, chiodo dopo chiodo, staffa su staffa, la storia dell’alpinismo. Poi un messaggio su Facebook dal Palma che ti chiede con cordialità se vuoi iscriverti al nuovo canale You Tube dei Ragni e promette tanti bei video e tu che dici “E’ il destino! Ciao Fabio, tu non lo sai ma tanto prima o poi ti avrei contattato io, perché sai io scrivo (o ci provo!) e voi, insomma, voi siete i Ragni… non si sa mai che vi capiti di aver bisogno di qualcuno che vi dia una mano a redigere qualche articolo, comunicato stampa, ecc… E già che ci siamo ti “caccio lì” via mail il mio Cv  e … cosa chiama cosa, ti ritrovi a fare da assistente-fotografa e video maker in via. Sarebbe  meglio dire ti ritrovi a fare il mulo che tira la via e fa sicura al fotografo impegnato nelle riprese degli allievi che, passo dopo passo, sulla delicata aderenza dello Schenun, si preoccupano un po’ di fare anche i modelli)… E che modelli, mentre alternano  faccia da panico con sorriso a 32 denti. Perché scalando è impossibile  mentire: le emozioni affiorano e lasciano il segno. Se poi accanto c’è qualcuno in grado di coglierle e di fermare l’attimo in un’istantanea, allora non solo vengono fuori, ma rimangono.
“Ma chi hai ripreso fino ad ora?”… “Dobbiamo andare più piano per le riprese?”… “Ma così mi riprendi solo il fondoschiena” (termine aulico!!... che poi chissà non fosse la parte migliore!) … “Ma mi riprendi sempre nei momenti peggiori”… SCALA SCALA E NON PENSARE A COSA TI RIPRENDE!!!  Insomma, piccole follie hollywoodiane e tante risate.
Dopo le vie lunghe e qualche tiro di falesia al Remenno, anche le esercitazioni di manovre su roccia: sosta base e calata in corda doppia (che poi è anche il nome di un celeberrifamosissimo blog :P).
E alla fine, da buoni arrampicatori a cui vengono insegnate tutte ma proprio tutte le regole del gioco, una più che meritata birra in compagnia.

Ta’


 

 

lunedì 2 giugno 2014

1-2 giugno 2014 "Basta un giorno così"... (Un cespuglio, un vikingo e raftaClimb in Valsesia)

"... a cancellare centoventi giorni stronzi e
basta un giorno così
a cacciare via tutti gli sbattimenti che
ogni giorno sembran sempre di più
ogni giorno fan paura di più
ogni giorno però non adesso adesso adesso
che c'è un giorno così". (Cit. 883)

A scorrere sotto le gomme della macchina (non della moto di Max...) non è la Statale 526 ma la strada che porta verso la Valsesia. Un viaggio organizzato in un paio di giorni e quasi per caso. Talmente per caso che lo zaino è stato fatto di corsa, sabato mattina e nessuno aveva guardato la cartina... Destinazione Balmuccia. Qualcuno mi aveva detto che si trovava dalle parti di Alagna e quindi via verso la Valle d'Aosta! Davvero un peccato che solo quando al mio compagno di avventure K sia venuto in mente di accendere il navigatore ci siamo accorti che non si trattava di quella Alagna, ma di Alagna Valsesia: sempre al cospetto del Monte Rosa ma esattamente sull'altro versante della montagna.
"Ta... ehm, abbiamo sbagliato, dobbiamo tornare indietro". Un buon inizio direi.

Ad aspettarci il Vikingo, la guida conosciuta lo scorso anno in Cile ed ora in Italia per lavoro. Ce lo si era promessi 10 mesi fa in Cile. "Quando io vengo in Italia ti porto a fare rafting, in cambio tu mi porti a scalare in Val di Mello...", ma chi avrebbe mai pensato che potesse accadere veramente? E invece, a inizio maggio, il messaggio su facebook "Arrivo in Italia companera, ti ricordi che hai promesso di venire sul fiume con migo?". Sììììì, why not?

Due giorni di stacco totale da tutto e da tutti. Niente telefono, niente trucco, niente tacchi. Solo sorrisi, una bella falesia di gneiss su cui scalare, un vitello gigante cucinato allo spiedo, un gommone sul fiume Sesia, un tuffo paura da tre metri che mi ha bloccato il respiro per qualche secondo per poi farmi scoppiare in una risata isterica, la promessa di ritrovarci a luglio sulle mie montagne e più avanti sotto le torri del Paine. :)

Ta'

K (cespuglio sfrittellato), Vikingo and I

Chi non crede che sia cileno alzi la mano!!!

Vitello di livello

Rafting Valsesia

Sto bevendo temo...

Yeah!!

giovedì 3 aprile 2014

MAURIZIO GIORDANI... SPUNTI DI RIFLESSIONE

Grande affluenza di pubblico per il secondo appuntamento della kermesse dedicata all’alpinismo (e all’arrampicata) e che ha visto come protagonista, questa volta, il trentino Maurizio Giordani.



Cosa dire? Che scrivere di un big del calibro di Giordani? Inutile esprimersi su argomenti che già sono, per gli appassionati, di pubblico dominio. Come ben sottolineato da Giovanni Viganò (lo Sherpa per gli amici) in apertura di serata, Maurizio ha un curriculum alpinistico di tutto rispetto (“da far paura” sono state le parole esatte, uscite dalla bocca del Giò…): espertissimo conoscitore della Marmolada (si ricordano, tra le numerosissime salite, la prima invernale al Pesce e la prima solitaria di Tempi moderni), ha alle spalle oltre 50 spedizioni in tutto il mondo, dalle vette più alte sino alle salite più estreme. Un uomo non di parole, ma di “fatti”, che poi, alla fine, sono quelli che contano.
E siccome i fatti già ci sono e tutto il resto, come cantava il buon Califano, è noia… Ecco qualche frase (riportata in maniera quasi letterale) pronunciata da Giordani durante la serata tenutasi venerdì 21, presso la palestra Orizzonte Verticale di Ronco Briantino e dalla stessa organizzata, che funge a parere mio da “spunto di riflessione per un miglior modo di vivere la montagna”.

• L’avventura è una linea che non vuoi salire, ma disegnare, passo dopo passo, realizzata dalla natura ma ancora da interpretare.

• Ho sempre salito montagne belle. Una montagna perché scateni in me il desiderio di salirla deve essere bella, deve piacermi anche esteticamente. Per questo, anche se probabilmente avrei potuto, non ho mai salito l’Everest.

• La scalata non è il fine, ma il mezzo. Per viaggiare, conoscere, per vivere esperienze che vanno oltre la scalata. Il viaggio è l’esperienza di vita che conta, perché è quella che rimane.

giovedì 20 marzo 2014

Jacopo Larcher and his R-Evolution


 

“Ciao, io sono Jacopo”.

Quando lo vedi, Jacopo, l’ultima cosa che ti passa per la testa è che faccia il 9a. Anche se, obiettivamente, è il primo particolare che dovrebbe venire in mente.
Invece a colpirti sono quei capelli un po’ troppo arruffati, che ricordano vagamente le illustrazioni del “Libro cuore”, e quegli occhi enormi e sognanti, all’interno dei quali, se guardi bene, puoi vedere i cieli stellati del Sudamerica o di uno dei tanti posti in cui è stato. Occhi da istantanea. Ancora più grandi e lucenti quando parla del suo mondo, fatto sì di scalata, ma anche di esplorazioni, culture diverse e rapporti sociali.
Si è raccontato così, in tutta la semplicità che lo contraddistingue e comodamente afflosciato in una poltrona, davanti ad un filmato che mostrava i luoghi della sua esistenza, quelli che lo hanno fatto crescere e cambiare. La serata, che non a caso era intitolata “Climbing as a personal R-Evolution” si è tenuta lo scorso 6 marzo presso la palestra Orizzonte Verticale di Ronco Briantino (MB).
E così, in un clima disteso e rilassato, quasi confidenziale, il pubblico ha potuto entrare nell’animo ma soprattutto nel cuore di questo ragazzetto un tempo timido ed introverso, oggi uno dei migliori scalatori in circolazione in ambito internazionale. “Non mi piace parlare – ha commentato – ma quando parlo di arrampicata e di luoghi, le parole sembrano non bastare e finisce che mi dilungo. Non vi voglio raccontare di vie e di gradi, ma semplicemente di arrampicata, che è una cosa che mi viene abbastanza bene. Di come per me questo sport sia diventato col tempo non il fine ma il mezzo per relazionarmi col mondo”. Il pubblico ascolta, a volte quasi attonito, a volte sorride. Rapito dalla voce, dalle parole, dalle immagini. E si sente come se lo vedesse quel ragazzino che gioca coi Lego sul tappeto del salotto, al quale il papà dice “Sai che a Bolzano hanno attivato il primo corso di arrampicata per bambini? Anche se non credo ti interessi…”. Gli occhi di quel bambino si accendono. Era la notizia che aspettava da sempre. Passano gli anni e Jacopo si allena duramente. Quello che inizialmente era un gioco diventa uno sport nel quale riesce ad eccellere. Qualcosa che, pur non essendo uno sport di squadra, lo mette in contatto con il mondo. Che col tempo gli darà la possibilità di conoscerlo, questo mondo. Vince e stravince. Poi qualcosa cambia: lascia le competizioni e quindi il mondo della “plastica” per la roccia. Falesia inizialmente. Il grado è ancora molto importante, anche se col tempo passa anche questo innamoramento e scatta un nuovo colpo di fulmine: quello che lo attrae ora è la bellezza della linea. In parete come su boulder, ci sono per lui linee che iniziano ad avere una capacità di attrazione alla quale non può e non vuole resistere.

Un percorso, il suo, ad oggi in piena evoluzione dal momento che il racconto si interrompe con l’ultima impresa: l’apertura a giugno 2013  della via Zembrocal a la Reunion, vicino al Madagascar. Un racconto in cui il filo conduttore è stato, sino a questo momento, il cambiamento. Quasi quest’ultimo fosse il motore della sua esistenza. Un racconto sincero, pieno di fascino e dai colori nitidi, uno scorcio del suo animo dinanzi al quale è impossibile, per chi lo ascolta, rimanere indifferenti.

Grazie Jacopo!
Ta’

lunedì 17 marzo 2014

Chi ha tempo... non aspetti tempo.


E' (anzi pare) un lunedì mattina come tutti gli altri. Due giornate di falesia alle spalle, qualche pensiero per la testa e tanti, troppi sogni ancora da realizzare. Li vedi lì, tanto vicini eppure così lontani. Li vedi nitidi, quei sogni. Sono a due passi, quasi tangibili. Ma a volte la mancanza di tempo, altre la pigrizia, altre ancora i casi della vita, fanno in modo che scivolino via dalle dita. Quelle dita che invece, i sogni, li dovrebbero stringere. Afferrare. Portare a sé.
E niente. E' un lunedì come tanti. Apri internet e leggi che una persona se ne è andata. per sempre.
A quel nome ricolleghi un viso, ma soprattutto due occhi azzurro cielo. Una voce, che però non sai se è proprio quella oppure la tua fantasia che fa strani viaggi. Una mascella squadrata e un sorriso spet ta co la re! Ecco è tutto. Purtroppo.

Rimane il rimpianto di averti incrociato ben più di una volta, o di averti avuto accanto a fare sicura, e di essermi fermata al ciao. Perché io, che non sono nessuno e che nemmeno arrampico forte, all'Anghileri, che cosa gli potrei dire. E invece, forse, sarebbe bastato un ciao, o un sorriso, dal momento che tu non ne eri certo parco. Il mio sorriso, il mio ciao, arrivano ora. In estremo ritardo.

E' tutto. Questi sono i giorni in cui ti rimane quel po' di amaro in bocca. In cui ti rendi conto di tutto il tempo perso ad inseguire chi non si meritava il mio tempo e magari a lasciare fuggire occasioni che poi non tornano più.

Riposa in pace

Ta'

sabato 15 febbraio 2014

14 - 15/02/2014 Pizzo Corzene by night

Partenza dal P.sso della Presolana
Dislivello: 1000 mt

Ultimo pezzettino, quasi in vetta al Corzene
 
San Valentino, stupido sciocco irreverente San Valentino! (Chiedo venia a tutti i Valentini che leggeranno, se mai ce ne saranno!). La festa degli innamorati. E io? Innamorata di chi? Di cosa?
E magari c'è anche chi ti chiede "Ma esci stasera? Vai a festeggiare?"... Seeee, festeggio con me stessa!
San Valentino che, tutto cuoricini, cioccolatini e lustrini, frasette spammate su facebook e persino cuori disegnati sulla neve (non sto scherzando! Salendo abbiamo trovato sulla neve un cuore con dentro "Cicci"...ma dio!! Cicci non si può sentire!) se ne frega dei single (per scelta o non), dei separati, dei divorziati, dei single gay, dei sigle bisex, dei...ecc. ecc. ...
Io, la sera del mio San Valentine's day, l'ho passata con una delle montagna che più amo, la mia tavola e degli amici... Ancora una volta colpa del Rocchetta (alias Roky) che, a metà pomeriggio mi invia un sms con scritto "Io stasera notturna al Corzene, se ti interessa".
Non ho dubbi... Se mi interessa? Certo, ovvio che mi interessa. E' bastato il messaggio a mandarmi già l'adrenalina in circolo: certi sms sono come una flebo!
Al gruppo si unisce anche Andrea (alias Finazzo) che col tutino dà al gruppo quel non so che di "vero scialpinismo", come dire, "siamo quelli seri noi!!!".
Eh sì...talmente seri che appena vediamo la baita Cassinelli aperta decidiamo di fare un dieci minuti di pausa grappino, per poi ripartire.


Si sale per il sentiero invernale. L'aria non è per niente fredda. La neve... Beh la neve è tanta, tantissima, tanto che...sorpresa... il bivacco Città di Clusone è sparito, seppellito, sepolto da quel manto candido che tutto cancella. Dalla vetta urliamo qualcosa... la neve cancella, o meglio assorbe, persino l'eco. Siamo nel nulla. In questo bellissimo nulla che tanto mi piace. Sotto, in lontananza, le luci dei paesi e delle strade. Noi li vediamo ma loro non lo sanno. Non sanno che siamo qui. In questo bianco, bellissimo, selvaggio nulla nel quale si trova tutto!
Partiti alle 20 da casa, pausa caffè al Twin's Bar di Ponte Nossa, ore 00,03 ancora sotto il Corzene, saremo arrivati in vetta  quasi all'una.




Discesa su neve un po' pesante e super ravanata che, per rispetto del Finazzi, non sto a raccontare. Insomma, una volta usciti da quel mare di neve che arrivava alla vita (notare, lui col tutino a congelarsi le gambe), ci siamo detti "tutto allenamento"...e anche "Beh, è stato un San Valentino diverso!). Già, diverso! Diverso e mitico!
Grazie ai miei uomini!

Ta'

09/02/2014 Ferrantino (Colere)... di sole e d'azzurro

Partenza da Colere
Dislivello: 1300 mt

La vista dalla cima
Neve, neve, neve... c'è neve ovunque e temperature alte, sinonimo di rischio valanghe elevatissimo!
Impensabile quindi allontanarsi troppo dalle piste...
Ed è così che una "normale", forse addirittura scontata risalita impianti a Colere si trasforma in una piacevolissima giornata. Alla fine non ci vuole tanto per stare bene: basta fare quello che si ama, la compagnia giusta e un po' di azzurro in cielo.

Si parte in tarda mattinata, nebbiolina e cielo coperto, perché il meteo ha dato la finestra di bello a partire da mezzogiorno. Ovviamente con la macchina non arriviamo fino al parcheggio degli impianti (chiuso), parcheggiamo in paese vicino alla chiesa e Roky, da buon alpinista quale è, commenta "scusem neh... vengo in montagna a camminare e poi prendo la navetta che mi porta fino al parcheggio? Te set mata?"... Embè, Roky è Roky... come dirgli di no? Tavola in spalla, scarponi da snow ai piedi, ciaspole in mano, si parte a piedi da centro paese, con quelli della navetta che ci guardano quasi fossimo matti... ecco...matti...appunto...

Il clima è caldo e in tempo zero sono in maglietta. Si sale tra metri e metri di neve: già così basterebbe per dire SPETTACOLO! Ma lo spettacolo.. quello vero... arriva quando le nuvole si alzano (o noi le buchiamo??), il cielo si apre e l'azzurro si mostra quasi prepotente, vivido e lucente, in tutta la sua maestosità. Bello, non c'è che dire, bello. Come bello anche "rotolare giù" dalla cima, con la grazia che con lo snowboard, da sempre, mi contraddistingue! :)

Grazie Roky!!!

Ta'
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Roky e la nord della Presolana



The End!!!