giovedì 20 marzo 2014

Jacopo Larcher and his R-Evolution


 

“Ciao, io sono Jacopo”.

Quando lo vedi, Jacopo, l’ultima cosa che ti passa per la testa è che faccia il 9a. Anche se, obiettivamente, è il primo particolare che dovrebbe venire in mente.
Invece a colpirti sono quei capelli un po’ troppo arruffati, che ricordano vagamente le illustrazioni del “Libro cuore”, e quegli occhi enormi e sognanti, all’interno dei quali, se guardi bene, puoi vedere i cieli stellati del Sudamerica o di uno dei tanti posti in cui è stato. Occhi da istantanea. Ancora più grandi e lucenti quando parla del suo mondo, fatto sì di scalata, ma anche di esplorazioni, culture diverse e rapporti sociali.
Si è raccontato così, in tutta la semplicità che lo contraddistingue e comodamente afflosciato in una poltrona, davanti ad un filmato che mostrava i luoghi della sua esistenza, quelli che lo hanno fatto crescere e cambiare. La serata, che non a caso era intitolata “Climbing as a personal R-Evolution” si è tenuta lo scorso 6 marzo presso la palestra Orizzonte Verticale di Ronco Briantino (MB).
E così, in un clima disteso e rilassato, quasi confidenziale, il pubblico ha potuto entrare nell’animo ma soprattutto nel cuore di questo ragazzetto un tempo timido ed introverso, oggi uno dei migliori scalatori in circolazione in ambito internazionale. “Non mi piace parlare – ha commentato – ma quando parlo di arrampicata e di luoghi, le parole sembrano non bastare e finisce che mi dilungo. Non vi voglio raccontare di vie e di gradi, ma semplicemente di arrampicata, che è una cosa che mi viene abbastanza bene. Di come per me questo sport sia diventato col tempo non il fine ma il mezzo per relazionarmi col mondo”. Il pubblico ascolta, a volte quasi attonito, a volte sorride. Rapito dalla voce, dalle parole, dalle immagini. E si sente come se lo vedesse quel ragazzino che gioca coi Lego sul tappeto del salotto, al quale il papà dice “Sai che a Bolzano hanno attivato il primo corso di arrampicata per bambini? Anche se non credo ti interessi…”. Gli occhi di quel bambino si accendono. Era la notizia che aspettava da sempre. Passano gli anni e Jacopo si allena duramente. Quello che inizialmente era un gioco diventa uno sport nel quale riesce ad eccellere. Qualcosa che, pur non essendo uno sport di squadra, lo mette in contatto con il mondo. Che col tempo gli darà la possibilità di conoscerlo, questo mondo. Vince e stravince. Poi qualcosa cambia: lascia le competizioni e quindi il mondo della “plastica” per la roccia. Falesia inizialmente. Il grado è ancora molto importante, anche se col tempo passa anche questo innamoramento e scatta un nuovo colpo di fulmine: quello che lo attrae ora è la bellezza della linea. In parete come su boulder, ci sono per lui linee che iniziano ad avere una capacità di attrazione alla quale non può e non vuole resistere.

Un percorso, il suo, ad oggi in piena evoluzione dal momento che il racconto si interrompe con l’ultima impresa: l’apertura a giugno 2013  della via Zembrocal a la Reunion, vicino al Madagascar. Un racconto in cui il filo conduttore è stato, sino a questo momento, il cambiamento. Quasi quest’ultimo fosse il motore della sua esistenza. Un racconto sincero, pieno di fascino e dai colori nitidi, uno scorcio del suo animo dinanzi al quale è impossibile, per chi lo ascolta, rimanere indifferenti.

Grazie Jacopo!
Ta’

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