lunedì 8 marzo 2010

Climbing therapy


L’arrampicata come terapia. Lo fanno con tanti sport d’altra parte… mi chiedo perché questo non sia possibile con l’arrampicata sportiva o con la pratica dell’andare in montagna.
La montagnaterapia già esiste, anche se poco conosciuta.
L’ambito che però più mi interessa e affascina è la possibile applicazione dell’arrampicata sportiva (sia indoor che in natura) come attività volta a fini terapeutici durante l’età evolutiva.
Chiedo anticipatamente scusa, se qualche esperto dovesse mai leggere, delle castronerie e delle inesattezze che potrei scrivere.. ma mi sento di lancirmi nelle mie riflessioni, e chissà che qualcuno non le condivida.

Dal basso della mia esperienza sia in veste di climber che nel campo dell’educazione mi è capitato diverse volte di ipotizzare quali potessero essere i possibili benefici apportati dall’arrampicata in un soggetto non necessariamente affetto da problematiche particolari (non parlo quindi di bambini con deficit fisici o psicologici, ma di bambini perfettamente “normali”…chiedo venia, odio questo termine).
Ho ipotizzato benefici concreti sia a livello motorio che a livello psicologico.
Partiamo dai più semplici e intuibili. A livello di abilità motorie l’arrampicata mi sembra una disciplina sportiva completa che permette uno sviluppo muscolare sia della parte superiore che di quella inferiore del corpo senza particolari rischi (per lo meno in età infantile) alle articolazioni, essendo i movimenti dell’arrampicata a “carico naturale”, cioè non sovraccaricando le articolazioni, le fasce muscolari e la colonna. Dal punto di vista della motricità si ha uno spiccato sviluppo di equilibrio e coordinazione dei movimenti sia in progressione verticale (dal basso verso l’alto e viceversa) che laterale (l’arrampicata impone movimenti precisi e inusuali progredendo sia frontalmente che lateralmente).
A livello di psicomotricità per scalare è necessario acquisire e sviluppare la consapevolezza del proprio corpo e dei propri movimenti, unitamente ad un grande autocontrollo e capacità di concentrazione, per affrontare situazioni di tensione emotiva (mantenere il sangue freddo quando per esempio non si riesce a progredire e si teme di cadere).
La verticalità è qualcosa a cui non si è abituati. Comporta il superamento di una barriera, di un limite fisiologico: la forza di gravità. E il tutto contando solo sulle proprie forze.
Qui entra in gioco anche l’aspetto psicologico e motivazionale.
Per scalare in sicurezza bisogna imparare a conoscere, infatti, le proprie capacità, ma anche i propri limiti. Ciò significa non sottovalutarsi, ma soprattutto non sopravvalutarsi, imparando a gestire al meglio le proprie emozioni (autocontrollo).
Il miglioramento e la crescente capacità di autocontrollo portano ad un progressivo sviluppo dell’autostima.
Interessanti risvolti potrebbero avere anche gli aspetti psicologici dell’attività agonistica, anche se paragonabili a quelli riscontrabili in tantissime altre discipline sportive.
Da una breve ricerca fatta tramite il web ho scoperto che nel maggio 2006 a Rovereto (TN) si è tenuto il convegno-progetto Born to Climb ove si è affermato che:
“L'arrampicata come terapia per disabili e ragazzi in situazioni di disagio psicologico in quanto attività che stimola sia gli aspetti muscolo-scheletrici della persona ma anche e soprattutto la sfera emotiva.
Una sfida che permette di esprimere le proprie potenzialità determinando di conseguenza un evidente miglioramento stima di sé. L'arrampicata come metodica di insegnamento nelle scuole con l'obiettivo di proporsi come una futura attività tradizionale da realizzarsi durante le normali lezioni di Educazione Fisica.”

5 commenti:

  1. Ciao Tatiana, complimenti per il bel blog...

    P.s. ora mi hai fatto venir voglia di crearne uno anche io, ho inserito il tuo sito tra i miei link, miraccomando vedi di fare lo stesso te!!!!

    A presto

    Alberto

    (http://albertoviscardi.blogspot.com)

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  2. Personalmente credo che se da un lato l'arrampicata non emerga tra gli altri sport che si distinguono x il gesto atletico richiesto, certamente si distingue da tutti gli sport per l'impegno mentale che richiede: concentrazione, riflessione, precisione, controllo e sicurezza che si sviluppa via via nell'affrontare situazioni inconsuete, non propriamente naturali o abituali. Ancora differentemente da molti sport, non porta ad una competizione diretta con gli avversari, piuttosto ad un confronto puro con noi stessi, non alimenta aggressività, ma piuttosto autocontrollo, riflessione, sperimantazione, apprendimento..
    Arrampicare è elevarsi!!! Per il puro gesto atletico invece, si può fare una bella risalita lungo il sentiero fino in vetta.
    Direi che è una buona cura per tutti, abili e diversamente abili.
    Luca M.

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  3. Sono d'accordo con te, soprattutto a livello di conoscenza del proprio corpo e dei propri limiti, fisici e mentali, e sviluppo dell'autostima.
    A me piace sia arrampicare per il gesto atletico in sè, in palestra, sia come mezzo per arrivare in cima o giungere in posti altrimenti non raggiungibili e per la gioia dell'essere sospesi, a tu per tu con la roccia.
    Il contatto con la natura,potrebbe essere un'altro punto di forza di questa "terapia", non credi?

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  4. ottica da maestra la mia... a dire la verità mi piacerebbe insegnare (questo) ai bambini e forse i attiverò a livello di corso Fasi in modo, un giorno, di poterlo fare

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  5. Ciao, forse questo può interessarti:
    http://www.climbingtherapy.it/

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