martedì 27 ottobre 2015

27/10/2015 Diego Servalli, sulle ali del vento ... anche ora

Questo è Diego. Diego Servalli. In Val Seriana era una specie di mito. Quello che faceva atterrare ogni anno la slitta di Babbo Natale col parapendio, tanto per intenderci. Dico "era", dico "faceva", perchè Diego non c'è più. E' morto il 5 giugno, in un incidente, e neanche per colpa sua. Qualche giorno fa, parlando con un amico, mi è tornato alla mente, questo ragazzone sempre abbronzato. Lui, il suo parapendio, il suo amore per il volo. Lui, che quando gli avevo chiesto di scrivere un articolo mi aveva portata a volare. In due, dapprima. E poi si era fidato a darmi in mano una vela e a farmi provare, da sola, nel campetto sul Farno. Qualche metro coi piedi nel vuoto... elettrizzante! "Perchè se non provi a pilotarlo, non puoi capire e non puoi scrivere, aveva detto!". E io, che folle lo sono al punto giusto, gli avevo subito risposto "Ok, come si guida sto coso che mi lancio!?".
Come dicevo, qualche giorno fa ho ripronunciato il suo nome, e mi sono scesi i brividi lungo la schiena. Quest'anno chi farà atterrare la slitta di Babbo Natale?...
C'è un articolo però, che avevo scritto per Orobie e che non andrà mai in stampa. E' rimasto qui, su un file, ed è rimasto invariato, proprio come se Diego fosse ancora vivo. Lui, in fondo, è ancora qui, se abbiamo la voglia di ricordarlo. Mi piacerebbe condividere questo scritto con le perone che lo hanno amato. Buona lettura.

Diego Servalli
Il furgone bianco corre lungo la strada che conduce al Farno. Quando finisce l’asfalto l’andatura non rallenta e sullo sterrato, tra una buca ed un saltone,  Diego guarda il cielo con aria interrogativa. Glielo chiede ad alta voce, al cielo. “Allora? Cosa vogliamo fare oggi? Ci lasci il tempo per una planata o che cosa?”. Diego sorride,  probabilmente per non tradire quella preoccupazione che, non ci può fare nulla, gli traspare dagli occhi. Mi sfiora il braccio con la stessa mano con la quale,  una volta sicuro della mia attenzione, indica le nubi che crescono come panna montata davanti ai nostri occhi. Bianche, grigie, giallastre. Da qualcuna filtra ancora qualche sparuto raggio di sole che sembra aver perso la strada. “Le vedi? Quelle fino a mezz’ora fa non c’erano. Guarda ora invece. Davanti a te, dei cumulonembi, ma si stanno dissolvendo. Quelle sono stratificate, non sono pericolose. Quelle là nere invece, guarda verso Valcava, quelle sono acqua a secchiate. Guarda quanta ne sta venendo giù. Ora ci fermiamo qua e vediamo cosa fanno”.
Parcheggia su un tornante ed esce dall’abitacolo, si stiracchia, accende una sigaretta e si appoggia ad un muretto, senza distogliere lo sguardo dal nemico. Uno alla volta i passeggeri, me compresa, trovano il loro posticino in mezzo alla strada, chi in contemplazione del cielo, chi dell’app scaricata sul telefono cellulare e che funge da radar meteo, con tanto di lucine colorate, grafici e nuvolette che si muovono in tempo reale. L’occhio umano e l’esperienza che si scontrano con la tecnologia, anche se a vincere alla fine sono sempre loro,  le nuvole, perché fanno come gli pare.
Siamo tutti qua, con il naso all’insù, nella trepidante attesa di vedere aprirsi in cielo un buco di sereno.
Cik, ciak. Gocce grandi come noci iniziano a schiantarsi a terra e in men che non si dica ci fiondiamo tutti sul furgone che, ora lo guardo bene, non è bianco, ne’ fuori ne’ dentro. Tende più che altro al marroncino.
Ed ecco che quello che doveva essere un tranquillo lancio con il parapendio si trasforma in un’impresa alla mission impossibile. Quello che non voglio rischiare è di ritrovarmi a fare un atterraggio di emergenza, tra fulmini e saette,  o peggio di finire come una gallina arrosto. Ma Diego Servalli e Sergio Nestola sono degli esperti e hanno già intuito che passate quelle che loro definiscono quattro gocce tornerà il sereno, per lo meno sopra la conca del Monte Farno, ai piedi del Pizzo Formico.
Il sole non tarda a farsi largo tra le nuvole e noi ci stiamo già preparando a spiccare il volo.
Prima però c’è tutta la fase di “vestizione” e preparazione: caschetto e antivento in primis, perché lassù l’aria non manca. E anche un paio di guanti leggeri. Poi si distende la vela a terra e si controllano i tiranti. Diego fa le prove per accertarsi che il ponte radio, per rimanere sempre in contatto con gli altri piloti che sono in volo ma anche con chi si trova a terra, funzioni a dovere. C’è anche un’apposita strumentazione che rileva le termiche.



Solo in volo mi renderò veramente conto dell’importanza di questo aggeggio che, con il suo bip bip cadenzato, indica al pilota quando il parapendio incontra una corrente di aria calda ascensionale, la termica appunto, che permetterà alla vela di andare verso l’alto. Immagino le termiche come degli “ascensori gratuiti” che, se ben sfruttate, portano la vela sempre più in alto.
Imbragata, il cuore batte a mille. Nel volo in tandem il pilota (quello veramente capace di volare, che nel mio caso è Sergio, sta appeso dietro di me, che mi limito a fare il passeggero).
Il decollo, così come l’atterraggio, sono le due fasi in cui anche il passeggero deve collaborare attivamente.
Siamo in piedi sul pendio. Sergio ascolta il vento, pronto a darmi il segnale di via. Non appena si alza una leggera brezza mi dice”Forza ora corri più veloce che puoi lungo il pendio, spingi sulle gambe, con tutto il peso del busto proteso in avanti”. Io eseguo e corro con tutte le mie forze. All’inizio sembra di lanciarsi a capofitto verso il basso, poi uno strattone all’indietro e lui che mi dice di continuare a correre. La vela si è alzata perpendicolare sopra le nostre teste e fa resistenza. Ancora qualche passo e senza che me ne accorga i piedi non toccano più il prato. Stiamo volando.
Volteggiamo sopra la conca del monte Farno e sopra Gandino. Attorno a noi solo aria, qualche uccello e gli altri parapendii che, prima o dopo di noi, sono decollati. Il mondo, da quassù, è tutta un’altra cosa. Più piccolo, silenzioso, più pulito e ordinato. Il verde dei prati e delle piante, le vette che ora sembrano vicinissime, le strade che si intrecciano sotto di noi, le case. Tutto vive all’insaputa di noi che, senza rumore, volteggiamo nell’aria.
Prima di spiccare il volo, mentre aspettavamo la tanto sospirata finestra di bello, Diego Servalli racconta di come riesca a conciliare lavoro e passione.
Ci racconta che da una decina di anni è uscito dal panorama delle competizioni. Nel Campionato Italiano, nei Regionali e nella Lega Piloti si è sempre ben posizionato. Quello che però ha sempre voluto però evitare è stato l’errore di scadere in quel senso di competizione estrema che, probabilmente, gli avrebbe col tempo tolto la passione per il volo. Perché, penso mentre lo ascolto, non si vola (o almeno non solo o non esclusivamente) per vincere qualcosa. Le Orobie sono le montagne che sorvola da sempre, fino a 3.300 metri di altezza.

A terra insieme a Sergio Nestola, uno dei migliori amici di Diego



“Ho iniziato a volare 25 anni fa. Il parapendio in Italia era uno sport poco conosciuto, nato più che altro come modo veloce o alternativo per scendere dalle montagne. Non c’erano corsi e le prime vele non erano certo quelle di oggi: sicure e stabili, come quelle che si fanno utilizzare ai principianti. Sono originario di Gandino e i miei primi voli sono stati proprio nella conca del Farno che, ancora, non era un campo scuola. Si saliva a piedi sul versante della montagna, insieme ad un amico più esperto, e si facevano le prove. Si andava un po’ da autodidatti e il rischio di atterrare male era altissimo. Iniziare a volare come ho fatto io è una cosa che sconsiglio vivamente, ma venticinque anni fa di scuole non ce n’erano e mettersi alla prova era l’unico modo per imparare. Con gli anni sono venuti l’esperienza, il brevetto e i corsi per diventare istruttore, di parapendio e di paramotore. La cosa splendida è che sono riuscito a trasformare la mia grande passione nella mia attività lavorativa e quindi, quando insegno, ci metto l’anima”.

Servalli, coadiuvanto anche dall’amico e compagno di volo Nestola, tiene i suoi corsi di volo nella conca del Farno, chiamata dagli allievi “il campetto”.
“Spaziosa, senza fabbricati o linee elettriche che possono costituire un grosso pericolo per chi sta imparando, protetta dalle forti correnti d’aria ed esposta al sole per l’intera giornata: è l’ideale per approcciarsi al volo. Non sono in pochi a dire che questo spazio sia uno dei campi scuola più belli del nord Italia”.
Le vele per i corsisti sono generalmente fornite dalla scuola Aero Club Monte Farno e sono adatte a chi ha esperienza ridotta e deve ancora imparare a governale. Prima di iniziare un corso viene offerto, da Servalli o da Nestola, un volo in tandem per capire la reale attitudine dell’aspirante pilota al volo. Una volta iniziato il corso sono necessari almeno una ventina di voli bassi (nel campetto) prima di prendere quota. Solo quando l’allievo sarà considerato capace di pilotare la propria vela, solo allora, gli verrà concesso di salire più in alto. Ci vogliono circa una quarantina di voli  radiopilotati dall’istruttore (che segue l’allievo a vista, dal basso) per provare a prendere il brevetto per il volo libero.
I corsi, emozionanti ma allo stesso tempo impegnativi, hanno la durata di circa un anno e si compongono di lezioni pratiche e di due mesi circa di teoria del volo. L’attrezzatura, almeno fino a metà corso, è fornita dalla scuola.

Nel frattempo, quelle nuvole che sembravano così arrabbiate, ci hanno regalato due ore di sereno , o quasi, a spasso per i cieli. L’atterraggio, che avviene in un campo del comune di Gandino, è abbastanza dolce. Merito di Nestola, il mio pilota, che mi dice quando mettere giù i piedi e cominciare a correre. E così penso che ogni volo, in fondo, iniziano e terminano con un gesto semplice come una corsa.
Riponiamo ordinatamente i parapendii perché l’ordine e la cura del materiale, in questo come in molti altri sport, sono fondamentali. Il sole sta calando ormai, e noi siamo quasi alle macchine. Viene spontaneo, però, girarsi ancora una volta a guardare il cielo, il punto di decollo e quello di atterraggio.
Tatiana Bertera


5 commenti:

  1. Bellissimo ed emozionante racconto

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  2. Grazie Tatiana per il ricordo. Sono uno dei ultimi allievi di Diego. Ho conosciuto Diego un anno e mezzo fa quando decisi d imparare a volare. Mi chiamo affettuosamente il suo sorvegliato speciale del fatto della mia tenera età :58 anni. Non sto a dilagarmi su aneddoti scaturiti della nostra amicizia ma le voglio dire che Diego era, e sarà sempre per me , una di quelle persone che raramente s'incontrano nella vita , una persona speciale.
    Grazie mille ancora per il ricordo.
    Francesco

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  3. come te, tanti lo ricordano e tanti continuano a volergli bene :)

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  4. sono ornella brevettata nel 92 ormai sono qualche anno che non volo più ma ho nel cuore i voli fatti sul farno con diego ..un vero burbero a volte ma con tantissima esperienza e umanità...
    ricordo con grande emozione quando ha fatto volare in biposto un nostro amico paraplegico...un'esperienza davvero unica per noi che gli abbiamo dato un aiuto a decollare e una grande immensa gioia per il passeggero che mai avrebbe potuto immaginare di vedere il paesaggio da un'altra prospettiva oltre la sua sedia a rotelle...grande Diego con un cuore infinito.

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