mercoledì 1 settembre 2010

01/09/2010 Dalla Patagonia ai deserti di Atacama (di Ivan Viganò)












Sono orgogliosa di pubblicare oggi le parole semplici e dirette, le emozioni, le impressioni di viaggio di un amico che, su richiesta, ha relazionato la sua avventura in terra patagonica.
E' un po' lungo... ma non stancatevi di leggere perchè ne vale la pena.
Grazie Ivan!!!
Ta'



Ciao a tutti, mi chiamo Ivan e cerchero’ di descrivere un viaggio che mi ha portato all’altro capo del mondo in compagnia di Thomas, un ragazzo come me’ un po’ svitato.
Bene, come si comincia, boh non lo so’ nemmeno io, anche perche’ scrivere non e’ una di quelle cose che mia attirano ma l’amica Tatiana me lo ha chiesto minacciandomi con un moschettone… che posso fare!
Siamo io e Thomas, siamo due amici e colleghi di lavoro, tutti e due abbiamo lavorato in Olanda per piu’ di quattro anni e lasciamo perdere, perche’ per due che amino la montagna l’Olanda non e’ il posto migliore, ma il nostro lavoro ci ha sempre permesso di viaggiare spesso in cerca di avventure. Siamo dei ricercatori del clima ma non mi sto’ a dilegare troppo sui dettagli e partiamo subito con il viaggio.
Ebbene si, il contratto di lavoro e’ finito e si prospetta l’operazione “great escape”, c’e’ chi cerca un altro lavoro ovviamente ma noi no, cerchiamo un’altra avventura e quella nel cassetto e’ la Patagonia, terra tanto sognata. Decidiamo per due mesi e mezzo con itinerario tutto da vedere e prenotiamo i biglietti andata e ritorno per Santiago, poi volo verso Punta Arenas e basta, ritorneremo verso nord solo con mezzi pubblici.
Arriviamo di notte il 19 febbario a Punta Arenas, io pensavo di scendere dall’aereo ed essere spazzato via da venti gelidi e invece niente, calma piatta e caldo! Ma che cazzo di Patagonia e’ mi son chiesto! Ma ben presto rimangero’ tutto. Dopo una notte nell’ostello penso piu’ lurido della citta’ cerchiamo di organizzare il primo trip nelle torri del Paine. Abbiamo uno zainone con tanti viveri,tenda, saccopelo, abbigliamento per ogni condizione, un paio di mutande e calzini extra, 3 bottiglie d’acqua, gli scarponi pesanti da ghiaccio, ramponi, picozza, 30m di corda, qualche fettuccia e 4 rinvii, un chiodo da roccia e uno da ghiaccio a testa e basta, si va via leggeri….insomma 30-40Kg con tutto il cibo per due settimane! Ma niente attrezzature “big wall”.
L’impatto con le torri e’ stato incantevole con bel tempo e poco vento, ma l’impatto con le guardie forestali non altrettanto…. Non vogliono campeggio libero e bisogna seguire i sentieri e niente traversate! Ci guardiamo io e Thomas e diciamo va bene va bene…bravi e dobbiamo anche pagare e non poco sia l’entrata che ogni accampamento. Qui il lato negativo e’ il turismo di massa fatto di gente che arriva cammina due ore e si svacca in rifugio, per chi vuole fare qualcos’ altro bisogna chiedere permessi o pagare . Noi pagheremo l’entrata si ma poi faremo di testa nostra, due settimane soli come orsi, marcie forzate di 8 ore e bivacchi selvaggi.
Dopo due giorni di traversata sopra un’area desolata davanti alle torri facciamo i conti col vento. Non avevamo mai vissuto niente del genere; la notte del secondo giorno il vento ha schiacciato la nostra tenda, rompendo tutti e tre i pali, io sono uscito per cercare di rimediare e sono caduto come un sasso; stare in piedi era dura e la mattina seguente sempre con vento a 150-180 Km/h abbiamo fatto gli zaini e impacchettato a qualche modo la tenda. Poi Thomas si accorge che una delle sue scarpe e’ volata via. Rimedieremo con alcuni sacchi di plastica e del nastro adesivo. La scarpa “home made” resistera’ fino al deposito di alcuni materiali che abbiamo lasciato nei cespugli vicino all’entrata del parco dove Thomas aveva dei sandali che usera’ poi per tutto il tour.
Nei restanti 10 giorni circumnavigheremo il gruppo del Paine; dallo sbocco del glaciar Grey ai piedi dello Scudo ed entreremo anche in valli desolate. Il vento sara’ sempre nostro compagno, specialmente nelle creste vicino allo Scudo e in quelle orientali dove mi ricordo che siamo caduti una decina di volte. La tenda venne riparata con bastoni di legno e nastro adesivo. Avevamo in mente di fare alcune vie “normali” ma visto che anche camminando non era possible stare in piedi abbiamo rinunciato. L’autunno stava arrivando, il verde delle foglie lentamente se ne stava andando, era tempo di procedere verso nord per rincorrere l’estate. Tempo per visitare Fitz Roy e compagno Cerro Torre.
Tornati a Puerto Natales prendiamo un bus verso el Chalten, e dopo 8 ore di viaggio eccoci sotto il Fitz Roy. Il vento e’ sempre presente anche se meno violento che alle torri del Paine per il momento. Dopo un giorno passato a fare spesa di viveri ed informarci, partiamo la mattina seguente con lo zainone zavorrato alla soglia dei 40 chili. Tutto il materiale: scarponi da ghiaccio, picozza, corda, 2 fettuccie, 2 moschettoni 2 viti da ghiaccio, un chiodo da roccia, saccopelo, tenda, viveri (tanti ma non basteranno…), tutto per la grande traversata dello Hielo Patagonico Sur.
Si punta verso il paso Marconi a ovest, ma prima facciamo una capatina di 2 giorni al paso Quadrado che guarda l’imponente parete Nord del Fitz Roy. Il cielo e’ terso ma il vento arrivati in cresta e’ insostenibile e per fare poche centinania di metri fino al Cerro Elettrico ci abbiamo messo 4 ore. Verso il Cerro Torre ci sono nubi spumose che ne fanno intravvedere solo la testa Bianca del famoso fungo di ghiaccio sommitale, che poi scompare dietro l’impeto della tempesta.
Il ghiacciaio che scende dal paso Marconi e’ stato ben ricoperto dalle abbondanti nevicate di gennaio e si procede abbastanza in fretta fino alla sella circa 1800m poi da li un traverso verso nord ci portera’ al rifugio-osservatorio Cileno Gorra-Blanca. Il rifugio e’ un lamierato molto grande e confortevole al cui interno vi si trovano dei materassi. Incontriamo due guide con clienti che tornano dal Cerro Gorra Blanca che si staglia davanti, e’ veramente una bella piramide di ghiaccio.
Non resistiamo alla tentazione e all’indomani partiamo verso le otto del mattino anche noi per il Gorra Blanca. In meno di 4 ore siamo in vetta, veloci, solo con ramponi e una picozza, la pendenza non e’ mai eccessiva a parte gli ultimi 50 metri del fungo che bisogna aggirare sul lato sud e stare molto attenti perche’ da li precipita una parete verticale di 1000m, ma il ghiaccio era fantastico e abbiamo deciso di andare slegati anche perche’ se uno vola , rischia di fare lo yo-yo con conseguenze poco piacevoli.
In vetta c’e un panorama mozzafiato e il cielo e’ terso in ogni direzione, si vedono splendidamente i gruppi del Cerro Torre e del Fitz Roy a sud, poi a ovest il Cordon Lautaro e Moreno e piu’ a nord il gruppo del San Valentin. Il vento si calma per un attimo e riesco a stendere un fazzoletto coi nomi di Alberto e Stefano, due cari amici della scuola di Alpinismo che ci hanno abbandonato. Si pensa sempre a loro e a quello che hanno dato sia in parete sia dal lato umano.
Ci gusteremo il pomeriggio a girovagare nei pressi del rifugio e per vedere dove traversare verso ovest, decideremo la direzione verso il Glaciar Pio IX anche se sconsigliato sia per il tempo sempre pessimo sia per i crepacci enormi. Poi ritorno verso sud-est verso paso del viento.
L’indomani si parte verso uno sterminato piattume bianco, il tempo non e’ dei migliori e dopo 6 ore di cammino si scatena la tormenta. Siamo bloccati, sappiamo di essere tra il rifugio e il cordon lautaro piu’ o meno ma non vediamo nulla e quindi ci accampiamo. Dopo aver scavato una trincea mettiamo la tenda e ci infiliamo dentro come due criceti nel nido. Attenderemo due giorni prima di vedere l’azzurro del cielo e ripartire, dopo altri due giorni di cammino nella bufera, arriviando sul bordo di enormi crepacci, ecco il Glaciar PioIX. Impossibile proseguire. Davanti a noi muri di nubi bianche minacciose; sono i venti umidi pacifici che vengono buttati sullo Hielo per poi raffreddarsi e scaricare piogge o neve. Con 6000mm di acqua all’anno e’ una delle zone del pianeta piu’ piovose e il Ghiacciaio Pio IX ha una dinamica molto veloce per lo meno secondo il mio collega Thomas che e’ un esperto glaciologo.
Nella bufera mentre Thomas mi racconda di dinamica glaciale io penso che e’ meglio rimontare la tenda e riposare per poi ritornare indietro lindomani.
La tenda dopo le rustiche riparazioni effettuate regge a dovere ma a ogni ora siamo costretti ad uscire per rimuovere la neve che altrimenti rischia di farla collassare. Di notte si odono frastuoni incredibili sotto di noi. E’ il gigantesco ghiacciaio che si muove e temiamo che si apra un crepaccio sotto il nostro culo!
Niente contatti con il mondo, solo noi due in una misera tenda. Con me’ solo l’mp3 con la musica di Woodstock del 1968 e Thomas che scrive delle formule matematiche che deve pubblicare. Tra me e me’ penso che una coppia di storditi cosi non esiste.
Mi ricordo che con le prime luci verso le sette del mattino dopo il solito rituale del the e caffe’ con biscotti, ripartiamo verso sud est in cerca del nunatak whitte.
Il nunatak e’ un affioramento roccioso in mezzo al ghiacciaio e contavamo di raggiungerlo verso sera. Stava diventando buio ma per fortuna lasciato il versante ovest dello Hielo il tempo migliora e la visibilita’ e’ ottima. Il nunatak whitte sembra vicino ma le distanze su una distesa bianca ed uniforme sono difficili da calcolare. Abbiamo camminato ininterrottamente per 10 ore prima di raggiungere le roccie ed avere la sensazione di stare coi piedi per terra.
Quella note il vento si calma e non faceva neanche tanto freddo, si pensano a tante cose, agli amici agli affetti, si dorme poco anche se si e’ stanchi.
La mattina seguente il tempo e’ splendido e decidiamo di affrontare il Cordon Moreno, verso la sommita’ che supera di poco i 4000m, ma non ci riusciremo. Arrivati a meta’ strada si scatena la bufera ed essendo in una zona fortemente crepacciata attenderemo per 3-4 ore prima di decidere sul dafarsi. Arrivano le 2 del pomeriggio e il tempo a disposizione e’ poco ma puntiamo a nord verso il Cerro Raymond, c’e una bella parete di ghiaccio da passare con due crepacci da aggirare. La fatica e’ tanta, non ci sembra vero, forse sara’ la scarsa alimentazione, comunque quella vetta e’ stata una delle piu’ sudate e poi dopo la consueta foto, via di fretta, perche’ ancora nuvole minacciose stanno arrivando. Torneremo stremati e infreddoliti nella tenda, il solito the’ e i biscotti e poi un sonno profondo.
Il giorno dopo non riusciremo a ripartire verso Paso del Viento, la tempesta ce lo impedisce, ancora un giorno in tenda, oramai sono otto giorni sul ghiaccio. Ma ci rallegriamo se pensiamo che Thomas Urlich ne spese 52 per la traversata integrale da nord a sud compiuta solo 3 anni fa’ senza utilizzo di aiuti!
Dal nunatak whitte in 16 ore di quasi costante cammino riusciremo a ritoccare la terra per accamparci (quasi morti) finalmente su di una delle tante morene del Glaciar Viedma. Oramai non facciamo piu’ caso al vento, gli ultimi 300m di crepacci sono stati insostenibili fisicamente con pezzi di ghiaccio scagliati come proiettili sul nostro corpo.
Dalla morena verso il Paso del Viento ci arriviamo tranquillamente in 5 ore di cammino e ce la prendiamo comoda anche se i viveri stanno finendo. Ci accamperemo e altri due giorni per arrivare ad El Chalten senza cibo, sostenuti solo da bustine di the’. Il primo ristorante che abbiamo troviamo e’ stato assaltato a dovere con porzioni extra di qualsiasi bendidio.
Anche qui e’ andata e adesso sempre piu’ a Nord. Avevamo intenzione di salire il San Valentin, ma una guida locale ci disse che non era stagione. Gia’ traversare lo Hielo in questa stagione e’ stato tanto, al San Valentin avremmo rischiato un fallimento anche costoso visto che bisogna noleggiare il trasporto fino all’imbocco dello Hielo Nord. Il nostro budget e’ risicato, spendiamo solo il necessario per divertirci. Certo che uno si puo’ divertire con la Playstation a casa ma questo e’ un altro capitolo.
Dopo 12 ore di bus notturno arriveremo invece a Bariloche, spleindida capitale del Rio Negro, da dove abbiamo intenzione di intraprendere una bella traversata tanto per cambiare. Qui il tempo e’ notevolmente migliore, c’e’ poco vento e una temperatura fantastica per camminare e arrampicare. Decidiamo per una pausa nella cittadina di due giorni, dove ci rifocilleremo di buon cibo e vino e faremo provviste per un 10 giorni di tour. Nella zona si erge il Volcan Tronador dietro la cordillera granitica del Catedral che e’ a 20 Km dalla citta’. La nostra idea e’ quella di fare una traversata integrale del Catedral per poi puntare verso il Tronador. Prenderemo il bus fino alla stazione sciistica di Bariloche e poi da li a piedi in 5 ore si arriva al rifugio Frey che siede sotto le granitiche pareti del Catedral nei pressi di un grazioso laghetto color turchese. E’ una zona frequentata da arrampicatori di tutti i generi e ottima palestra di allenamento per chi vuole affrontare i giganti del Sud.
La mattina presto ci svegliamo di buon ora nella tendina vicino al laghetto e fatto gli zaini con una corda da 30 metri, 4 moschettoni, due chiodi di roccia e martello, si parte verso la parete. La nostra attrezzatura non ci permettera’ il sesto grado ma la traversata delle creste e sempre sul terzo e quarto grado ottimamente appigliati con camini e fessure divertenti e mai esposti, solo verso il blocco sommitale c’e’ da stare attenti per un passaggio di V+ delicato ma anche ben chiodato.
Finiremo verso le 4-5 del pomeriggio la traversata di tutto l’arco granitico, non so’ di preciso quanto fosse stata lunga ma ce la siamo goduta e con poca fatica anche perche’ venivamo da un buon allenamento forse.
L’indomani si parte verso il tronador e ci vorranno 4 giorni di continuo cammino in zone desolate, anche perche’ di solito chi raggiunge quel vulcano prende un bus fino all’entrata del Parco e in un weekend lo si sale, ma noi no, volevamo qualcosa di piu’ romantico!!
Dalla sommita’ del Catedral si vede il Tronador, e’ come partire nelle Orobie dal Resegone per arrivare al Disgrazia penso io, solo pochi imbecilli potrebbero farlo.
Non mi ricordo i nomi di tutti i gruppi montuosi che abbiamo attraversato ma mi ricordo che i primi due giorni li abbiamo fatti senza sentiero e sotto la pioggia per finire in una valle pantanosa e fitta di boscaglia che ci ha reso l’avanzamento estenuante. Prima di finire in quella valle penso che abbiamo rischiato grosso. Dovevamo salire direttamente un canale di neve abbastanza ripido di circa 200m, sembrava facile ma a meta’, mentre salivamo si e’ formata una frattura e il canale di neve e’ collassato. Fortunatamente appena abbiamo udito il “crack” siamo saltati come lepri sui lati rocciosi del canale e abbiamo aspettato il peggio. Enormi blocchi di neve e ghiaccio sono caduti fino a valle con un frastuono e noi li fortunatamente salvi aggrappati come lucertole. Poteva finire male, quella e’ stata la situazione piu pericolosa che abbia mai passato, sembrava uno stupido canale di neve e mi pareva anche ben assestata, ma a volte certe situazioni andrebbero rivalutate e in ogni caso puo’ anche caderti un vaso di fiori in testa quando meno te lo aspetti, ma questi sono solo discorsi da statisti.
Dopo il peggio inizia a piovere e fortunatamente troviamo una grotta vicino alle creste dove attendiamo per un ora il migliorare del tempo. Attraversato lo spartiacque scendiamo in una valle desolata che secondo la mappa l’unica via e’ quella che segue il fiume, anche perche’ ai lati ci sono solo fitte e impenetrabili boscaglie. Per fare io penso 3 Km sul letto del fiume ci abbiamo messo 6 ore, a volte salti di 20-30 metri hanno reso difficoltoso il proseguire a meno di non fare un bagno completo.
Fattosta’ che altri due giorni passeranno in zone selvaggie, senza sentiero o con poche traccie prima di raggiungere un lago con una tettotia da dove e’ possibile scendere a Pampa Linda dove ci sono un campeggio e due Hotels, base di partenza per il parco Nauhel Huapi verso il Tronador. Da li in circa 3 ore di cammino rapido raggiungeremo il rifugio Otto Meiling a circa 2000m (noto scalatore e alpinista tedesco emigrato in Argentina proprio in Bailoche) per sostare e assaporare le delizie locali. Il rifugio vanta un accoglienza da primato in tutto il sudAmerica.
L’indomani, ben riposati e rifocilalti si parte all’alba verso la vetta Argentina; in meno di tre ore siamo sulla cumbre argentina (3187m) e dopo una traversata di due ora raggiungeremo quella Internacional (3478m) che presenta le maggiori difficolta’. Dopo una breve pausa, ritornammo al rifugio nel primo pomeriggio e per sera a Pampa Linda per gustare le tipiche empanadas.
Sempre piu’ in alto! Qualcuno disse... ebbene si piu’ si va’ a Nord e piu’ si ha possibilita’ di salire in quota. Optiamo per il Volcan Lanin a 3747m, un classico vulcano a forma conica che non presenta particolari difficolta’. Pensavamo di farlo in due giorni dalla statale a 1100m ma noi invece, vuoi per la voglia di salire vuoi che oramai eravamo superesaltati, lo abbiamo fatto in giornata. Ricordo difficilmente di aver salito 2600m di dislivello in un giorno, comunque mi sentivo da Dio, camminavo, mangiavo di tutto ed ero libero e leggero. Al ritorno incontriamo indiani Mapuche che non sono molto contanti di vederci perche’ stavano celebrando antichi riti di devozione al vulcano proprio mentre noi salivamo. Di fatto e’ vietato salire il Lanin mentre ci sono i Mapuche, ma alla fine il loro capo si e’ dimostrato tollerante e ci fece passare, ma ci disse di non attraversare l’accampamento. I Mapuche non amano stranieri e sopratutto americani e spagnoli che avrebbero distrutto il loro popolo. Io pensai “che fortuna almeno stavolta sono italiano e non mi rompono con la solita storia pizza, mafia e mandolino”.
E via che si va’ ancora a Nord, sempre ore di Bus fino a Chos Malal, un distretto desolato nella regione di Neuquen, e da li autostop fino al Domuyo (4708m), detto anche il tetto della Patagonia “fatto per tremare e brontolare” come dicono i Mapuche. Il paesaggio cambia ntevolmente, e’ molto piu’ arido, quasi lunare, con fumarole e geiser termali che riversano fiumi di acqua calda. Non c’e anima viva a parte due gauchos locali col loro bestiame, niente turisti, benone!
Ci facciamo lasciare all’imbocco del sentiero che porta fino in vetta, ma noi come al solito facciamo una variazione sulla cresta ovest, fuori traccia. Senza sentiero e’ una faticaccia, il terreno e’ friabile e polveroso, guadagni un metro e ne perdi due scivolando. Finalmente arriveremo su di un plateau sommitale a circa 4000m dove pianteremo la tenda e ci riposeremo. Proseguire per la cresta ovest fino alla vetta risulta impraticabile. Ci sono tratti verticali di roccia friabile come biscotti, troppo rischio, meglio scendere e riprendere il tracciato piu’ a sud ci diciamo io e Thomas. Di fatto ci accamperemo vicino ad una splendida laguna blu (accampamento segnalato a 3200m) e il giorno dopo in 5 ore saliamo in vetta, facile salita con solo un tratto di ghiaccio vitreo quasi verticale di 50m che e’ meglio proteggere. Lungo il percorso il paesaggio ha colori surreali e si trovano una moltitudine di fossili (ammoniti), non possiamo che gustare fino a fondo tale esperienza. Ma non e’ finita qui perche’ le calde sorgenti saranno un tocca sana per i nostri luridi corpi, acqua calda corrente gratis e idromassaggio compreso, e’ il paradiso qui, e d’inverno (estate da noi) dicono che le scialpinistiche sono ottime, sempre con Jacuzzi!.... dovremo tornarci assolutamente.
Dal Tronador riscenderemo verso Chos Malal per prendere il bus verso Mendoza e da li Santiago e poi San Pedro di Atacama al confine con la Bolivia, circa due giorni di bus, veramente pesanti. Da Mendoza si potrebbe andare all Aconcagua, ma e’ troppo turistico per noi due e non ci va’ di pagare per salire, meglio il Cerro Mercedario, anche lui sfiora i 7000m, ma la logistica non e’ facile. Visto che il deserto di Atacama e’ un luogo che vogliamo visitare e pullula di vulcani over 6000m assolutamente liberi, decideremo di trascorrere le ultime due settimane vagabondando tra deserto e vulcani con meta finale il Lullaillaco a 6737m.
Arrivati a San Pedro il problema e’ il noleggio di un fuoristrada, c’e solo una compagnia e cara, alla fine risultera’ l’unica opzione, ma vabbe’ non capita ogni giorno di noleggiare un auto in Atacama! Resteremo a San Pedro due giorni per fare provviste di acqua (circa 70 litri), cibo per due settimane e gasolio per circa 1000Km. San Pedro e’ molto turistica, ci sono compagnie di ogni genere che organizzano trekking e scalate alle vette principali. Per chi ha tempo e’ interessante noleggiare una bici e farsi il Salar di Atacama, a patto di prendere una tanica di acqua!
Il paese si trova a 2300m a nord del famoso salar di Atacama, una distesa di sale piatta e uniforme che si estende per 100Km, ad ovest si ergono una miriade di vulcani dal confine con la Bolivia a quello con l’Argentina. Ce ne sono di tutti i gusti, non presentano difficolta’ tecniche ma sono tutti sopra i 5000m e molti sopra i 6000m. Il deserto di Atacama e’ famoso anche per la scarsa piovosita’, circa 2-3mm di acqua all’anno e non ci crederete ma ce li siamo beccati tutti....sottoforma di minuscoli cristalli di ghiaccio; niente di preoccupante ma vedere il deserto coperto da un velo bianco e’ stata un’emozione.
Decideremo di salire 3 vulcani: il Lascar, il Miscanti e il Llullaillaco. Il Lascar e’ il piu’ attivo di tutta la cordillera, il Miscanti e’ il piu’ bello e il Llullaillaco e’ il piu’ duro.
Con il fuoristrada da San Pedro arriviamo in 8 ore di guida alla base del Lascar a 4300m, l’odore di zolfo e’ acre per cui scendiamo di 200m verso una laguna secca e ci accampiamo. A Thomas fa’ male la testa, forse siamo saliti troppo in fretta con la macchina, il fisico sopra 4000m deve sempre aver tempo per adattarsi.
Il giorno dopo, partiamo la mattina presto verso la vetta a 5592m, il sentiero e’ facile, mi sembra di salire in Maresana da Bergamo, ma l’ossigeno e’ poco e ci dobbiamo acclimatare bene. Respiriamo bene, ma ogni passo che facciamo ci sembra pesante. Passati i 5000m ci troviamo su di un plateau pietroso dove l’odore di zolfo e’ abbastanza forte, e per 200-300m devo camminare con un panno bagnato sul naso per sopperire gli acri odori vulcanici. Si raggiunge la cresta a nord che con facile sentiero porta verso la cumbre a 5592m. Paesaggio bellissimo, peccato per le nuvole e i fumi provenienti dal gigantesco cratere, ma siamo soddisfatti. Il vento a quelle quote e’ abbastanza forte e gelido ma niente in confronto con la Patagonia. Scendiamo veloci verso la tenda e col fuoristrada puntiamo verso il Miscanti facendo pero’ un giro verso ovest in zone poco battute. Per me il deserto ha il suo fascino cosi come una parete di granito, senti la solitudine ma non ti senti solo, vedi colori che non hai mai visto, tutto e’ in silenzio ma puoi udire la sua voce.
Non ci sono cartelli stradali e le strade non ci sono, si seguono delle piste e si spera che portino in qualche luogo. Di fatto pur non sapendolo, siamo arrivati accidentalmente ad un posto di blocco ma le guardie cilene non sembravano sorpese e ci fecero passare senza problemi. Arriveremo nel pomeriggio alla laguna Miscanti, posto meraviglioso e zona di riproduzione di fenicotteri rosa (Los Flamencos National Reserve), davanti alla laguna (4200m) si staglia il Volcan Miniques con i suoi 5910m , sempre piu’ in alto per noi.
Accampamento da manuale e partenza il mattino seguente per la vetta. Sono 1700m di dislivello fino alla vetta, non estremi ma forse a quelle quote si sentono maggiormente. Non siamo ancora ben acclimatati ma l’entusiasmo e’ troppo e la voglia di aspettare poca. Arriviamo in vetta dopo 8 ore di cammino estenuante, non c’e un sentiero segnalato, si tratta solo di individuare la linea piu’ logica e salire un pendio costante di detriti fino a 5500m poi da li verso sud una spalla conduce alla vetta. Sembra interminabile e cha fatica con poco ossigeno, al ritorno mi accorgo di aver sbagliato via e comincia a far buio, non che fosse difficile l’orientamento ma sara’ stata la stanchezza e la sottovalutazione che ci hanno fatto arrivare a 2Km dalla tenda. Ma a questo punto non importa ne la fatica ne se fa’ buio, stiamo bene, abbiamo viveri e acqua, il resto verra’.
Trovata la tenda e ben riposati e rifocillati con chili di biscotti ripartiamo per il progetto finale, il Lullaillaco. E’ il vulcano piu’ alto, non e’ difficile ma e’ duro; ci spremera’ le nostre energie. Per trovarlo e’ un impresa, visto che non e’ zona turistica. Seguiremo delle indicazioni sommarie per 2 giorni e passeremo posti incantevoli, visitando anche antiche rovine incas. Sulla rotta che porta al Lullaillaco incontri di tutto tranne esseri umani. Poi da lontano vedi spuntare un triangolino e ti chiedi, sara’ lui? Avevamo solo una foto e una cartina ridicola comprata all’aeroporto di Santiago, ma pensiamo di essere nel posto giusto visto che avvistiamo un cartello della Minera Escondida che secondo la mappa e’ a circa 100Km dal vulcano. Ci avviciniamo sempre di piu’ e la sagoma si rieva quella giusta con il ghiacciaio dei penitentes avvistabile anche a distanza e il canale/colatoio caratteristico che scende a nord.
Non ci sono strade e l’unica soluzione e’ quella di seguire un pista che sembra punti dritta verso la montagna. Ma sara’ quella sbagliata perche’ ci portera’ dritti verso un canion invalicabile! Niente, ci accamperemo per la notte e ripartiremo il giorno dopo per cercare la strada giusta. Bisogna conoscere il deserto e stare attenti a non insabbiarsi con il fuoristrada altrimenti non c’e soluzione, i telefoni non prendono e la citta’ piu’ vicina e’ a 90Km.
Finalmente un cartello arrugginito segnala l’entrata nel Parco del Llullaillaco e una pista che si rivelera’ quella giusta fino alla base del gigante. Si procede lenti con la macchina, la strada negli ultimi 5 Km e’ motlo dissestata ma alla fine arriveremo alle pendici, accompagnati da agili Vicugna.
Siamo a 4500m circa con la macchina, c’e un bel sole ma tanto vento, ci avevano detto di acclimatarci bene almeno 2-3 giorni prima di salire in vetta ma noi come al solito in 3 giorni siamo saliti e scesi, anche perche’ io avevo l’aereo da prendere, mentre Thomas sarebbe restato per due settimane in piu’ a Santiago.
Il Llullaillaco e’ stata la montagna piu’ alta scalata dall’uomo prima dell’avvento dell’Alpinismo, scalata dagli Inca per motivi religiosi. Sono state ritrovate mummie di bambini nei pressi della vetta, dove tutt’oggi sono rimaste delle rovine. Come avranno fatto 2000 anni fa’? Che cosa li ha spinti? Da dove venivano? Resta ancora un mistero affascinante.
Decidiamo per due campi: uno a 5200m, uno a 5800m e poi corsa alla vetta!
Devo dire che le nostre condizioni fisiche erano buone, fino a 6000m procediamo bene, poi abbastanza lenti fino a 6500m e poi molto lenti fino alla vetta. Non ero mai stato sopra 6000m, se ti senti bene e’ una bella sensazione e se sei acclimatato penso anche meglio. La salita e’ stata dura, con tante pause, e la vetta e’ stata un emozione unica, ricordo come ora passo dopo passo quelle roccie e quegli infiniti spazi davanti a me e il freddo, tanto e pungente. Thomas come al solito e’ salito da un altro versante, quello Argentino per vedere i resti Inca a poche centinaia di metri da dove ero io.

Dalla Vetta del Llullaillaco

La discesa e’ stata una sofferenza per tutti e due, io pensavo che scendendo di quota ci saremmo sentiti meglio, ma forse siamo scesi troppo velocemente e forse non ben acclimatati, siamo stati male; capogiri, nausea, mal di testa. Niente di veramente serio pero’ per qualche ora ci siamo sentiti due vecchi da ospizio. Un po’ di the’ caldo, due aspirine e qualche biscotto ci hanno rimesso apposto, la notte e’ passata serena tra la gioia dell’avventura e la felicita’ di star bene.
Tempo di ripartire, tempo di ritornare a casa, c’era si tanta voglia di ritornare e raccontare ma c’e’ sempre il rimorso di aver lasciato un posto incantevole.
Il silenzio, niente stress, niente traffico, niente turisti, ti amalgami con gli elementi della natura siano essi fatti di ghiaccio o roccia. Ma non e’ un addio, sono sicuro che non possiamo vivere senza un’altra avventura nel cassetto, fuori dalla quotidianita’, quindi a presto.

Ivan

1 commento:

  1. non posso dire altro ... una bellissima avventura un sogno.... grande ivan... brava ta per averlo pubblicato... RIK

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