All’inizio l’avventura è stata
guardare una cartina,
preparare lo zaino, caricare la macchina e partire.
Da sola. Vagante. Alla
ricerca di risposte. Alla ricerca dell’avventura stessa.
Poi le prime gocce di
pioggia sopra la tenda, il primo pasto frugale, la frontale ed un libro. Il
fruscio delle foglie sotto la mano del vento, i rumori soffusi della notte e la
luce assordante dell’alba.
Non era ancora avventura.
La fatica di camminare,
allora, e di inerpicarmi per la via meno logica, non per raggiungere la meta ma
piuttosto per trovare qualcosa lungo la strada.
Non era abbastanza.
Tutto
regalava momenti di gioia, ma pur sempre momenti. Il viaggio si stava
lentamente spostando da una dimensione fisica ad una metafisica: era il cammino
di chi vuole andare oltre, scoprire cose fuori e dentro se stessi. Forse ero
troppo vicina a casa, forse avrei dovuto andare più lontano, dove il mondo è
diverso e sa insegnare.
Poi quando sbucata da una notte insonne, uscendo dalla
tenda, mi sono ritrovata con le pupille nelle tue, quasi a dialogare coi tuoi
occhi grandi, a strisciare a terra per poterti toccare, a rispettare il tuo
timore e a godere di quel reverenziale silenzio, ho capito che era giunto il
momento di tornare a casa.
Tu, che invano avevi tentato di
mangiarti la mia tenda e forse anche me, mi avevi regalato
quell’istante di
emozione pura che andavo cercando e che ora io chiamo avventura.
Tanta strada
per poi scoprire che l’avventura non era andare, fare, spingersi oltre l’immaginabile.
L’avventura è un privilegio di chi, semplicemente, ha imparato a vedere.
Nessun commento:
Posta un commento