domenica 18 settembre 2016

Oliviero, re dei Giganti


Il Re dei Giganti, quest’anno, viene da Bergamo. Dalla Valle Seriana, da Gandino, dalle sue, dalle nostre Orobie. Si trova a Courmayeur ora Oliviero Bosatelli, vincitore dell’edizione 2016 del Tor des Geants. Ieri, quando alle 13,10 e dopo poco più di 75 ore di gara ha tagliato quel traguardo, tutta Bergamo era con lui. Tutti incollati al pc o allo smartphone per vedere il live dell’arrivo. Tutti lo vogliono, tutti ne parlano a Courmayeur. Dicono del vigile del fuoco bergamasco che ha dato uno stacco di 5 ore al primo degli inseguitori e che ora sta volando a coronare un sogno. A fare da cornice al suo arrivo ci sono gli striscioni degli sponsor e quel cartellone giallo fluorescente su cui, al volto di Braccio di Ferro, è stato sostituito il suo, quello del “Bosa”. Lo hanno definito così qua, Braccio di Ferro. Ma per noi rimane sempre “il Bosa”. Ad attenderlo la moglie Nadia, che lo ha supportato ad ogni punto di ristoro, fino alla vittoria. E poi spunta da là in fondo, come un puntino taglia la curva ed è sul tappeto che conduce alla linea dell’arrivo. Il pubblico lo acclama, lo speaker ripete il nome del nuovo Gigante e su Facebook piovono i like. Corre ancora Oli, quasi al traguardo si gira e fa una corsetta indietro, per battere il cinque a qualcuno che si trova in zona transenne. Poi si rigira su se stesso e taglia il traguardo, con un salto, esattamente come era accaduto sul palco di Orobie Ultra Trail. Anche lì vincitore con le molle sotto ai piedi. Ci ha fatto sognare per tre giorni: da domenica, giorno della partenza, fino a ieri. 330 chilometri, 24000 metri di dislivello positivo, 75 ore e venti minuti per attraversare tutta la Valle d’Aosta. Senza dormire praticamente, facendo soste minime (la più lunga è durata meno di mezz’ora) per alimentarsi. Un motore eccezionale, come ci ha raccontato Marco Zanchi, che in montagna ha saputo dare il meglio. E pensare che fino a due anni fa, cioè fino all’edizione 2015 di OUT (nella quale si era classificato secondo alle spalle di Zanchi) nessuno sapeva chi fosse. Un ottimo maratoneta, certamente, ma non un campione dell’Ultratrail. Lui, che quando arriva sul podio pare quasi in imbarazzo, che non sa bene cosa fare o dire, che certo non è abituato a fare la star, ma che ha saputo lasciarsi tutti alle spalle. Lui che al rifugio Bertone, l’ultimo a pochissima distanza dall’arrivo, si è fermato a mangiare un piatto di risotto. Quel piatto di riso, preso perché tanto il secondo è ormai troppo distante per raggiungerti, è stato come il sorriso di Bolt alle Olimpiadi. Quel sorriso buono, carico di spirito sportivo, rivolto al concorrente alle sue spalle. Il sorriso di chi sa perfettamente di avere la vittoria in pugno, e quindi di poterselo permettere. E poi, a tre ore circa dal termine della gara, quando lo immagini già disteso nel letto e immerso in un sonno ristoratore, arriva la sua chiamata. La voce è fresca, pimpante, quella di sempre. La semplicità, valore che da sempre lo contraddistingue, non pare essere stata minata da una vittoria tanto grande. A fine chiamata, però, ammetterà di essere felice, molto felice, perché vincere il Tor non è una cosa che accade tutti i giorni (e neppure a tutti! Ndr.).
“Un viaggio spettacolare – sono state le sue parole – e soprattutto un tifo grandioso, per una gara che è davvero molto sentita. Ancora non realizzo bene l’accaduto ma sono qua,  ho risposto a tutte le domande dei giornalisti, mi sono fatto fare un massaggio nel quale credo di essermi addormentato 5 minuti, per poi risvegliarmi di colpo. Ancora non riesco a dormire, sono qua con amici e voglio godermi questi momenti, ma credo che appena toccherò il letto dormirò. Quello di non dormire è stato un esperimento, volevo provare a non dormire, ed è riuscito. Ricordo le notti, la luna quasi piena, il silenzio. Sono stato sempre presente con la testa. A momenti arrivava un po’ di sensazione di debolezza, ma poi mangiavo e passava. Mi sono alimentato sempre bene: pasta, riso, panino con prosciutto e maionese, gelato, macedonia, birra. Niente barrette, niente di niente. Un paio di gel, quando avevo terminato tutto. Sono arrivato e sono arrivato con le mie gambe. Non lo speravo, era la prima volta. Ci ho creduto solamente quando ho tagliato il traguardo”.
Oliviero, che fino ad oggi aveva coperto una distanza massima di 180 chilometri (Adamello Ultra Trail), ora sa che può fare tutto. Ma conoscendolo pensa ancora di non aver fatto nulla di che (così aveva detto nel 2015 dopo essere arrivato secondo alla Orobie Ultra Trail, o dopo averla vinta quest’anno). Conoscendolo lo troveremo ancora sulle nostre montagne,  a “darci lezione” di dedizione, fatica e sofferenza. Come lo troveremo a bersi una birra post allenamento. Solo che da questo momento, quando lo vedremo, diremo “Lui è il Bosa, quello che ha vinto il Tòr”.



giovedì 25 agosto 2016

Nomade sì... ma con appoggio!


Una nomade con appoggio”, dove l’appoggio sarebbe la mia residenza in provincia di Bergamo. Ho sorriso quando, qualche giorno fa, il mio fratellino 17enne mi ha definita così. “Mia sorella è una specie di nomade, ma con appoggio”. Ha detto proprio così. E me lo immagino mentre pronuncia questa frase, con quel fare canzonatorio e quel suo sorriso sornione. E allora la mia mente corre a metà agosto quando, in Val Tesino, scattavo con il cellulare e giusto in tempo prima di vederlo definitivamente in modalità OFF, la foto dei miei piedi accavallati all'entrata della tenda. Piedi che ridono, affaticati dal continuo su e giù per sentieri che non conosco. Senza meta ma con la voglia di andare. Piedi che entrano in fibrillazione e dicono "questa sì che è vita". Piedi nomadi, che si sentono a casa solo lontani da casa. A 300 chilometri dall'ufficio e dalla quotidianità e che sognano di averne altrettanti, di chilometri, da macinare sotto le suole. Piedi che possono svegliarsi la mattina e decidere di volgere a destra, a sinistra oppure di rimanere fermi. Piedi che stanno sempre due passi oltre la testa, perché tanto a guidarli è il cuore. Se potessi scegliere cosa fare nella vita, se fosse un mestiere, sceglierei di fare la vagabonda. Perché solo una “vagabonda per scelta” può permettersi il lusso di ascoltare cuore e piedi, e basta. Perché addormentarsi accanto ad un ruscello, cullata dal bisbiglìo dell’acqua, essere svegliata in piena notte dalle gocce di pioggia che punteggiano la tenda, aprire le palpebre con il taglio di sole che penetra la fenditura del proprio giaciglio, non ha prezzo. In un mondo dove tutto ha un valore quantificabile in denaro, questo è quello che non ha prezzo e che mi ricorda quando sia bello vivere. E anche se per un periodo di tempo limitato, che coincide con “l’evasione estiva”, è quella cosa a cui non potrò mai rinunciare. E così ogni anno è la stessa storia: zaino, tenda, piedi, cuore e via. La direzione è una, la meta invece non esiste: si definisce di giorno in giorno, ora dopo ora, a seconda di quello che  cuore decide di fare. I piedi e la testa, di conseguenza, seguono.

Tatiana Tia Bertera Manzoni


martedì 17 maggio 2016

#weareMelloblocco: ma che bello che è!


Niente, come il Melloblocco, è capace di farmi tornare la voglia di mettere le mani sulla roccia e di stare con quella pazza, bellissima, spettacolare compagnia che sono gli scalatori. Boulderisti, falesisti, alpinisti... al Mello siamo tutti uguali. E sarò una "buonista", una di quelle che vede la vita tutta "rose e fiori" (sotto con le critiche, che anche quelle fan bene, meglio dei complimenti talvolta!), ma lasciatemelo urlare a squarciagola: IL MELLO2016 è stato uno SPETTACOLO! E ve lo dico io, che ho lavorato, che non ho neppure indossato le scarpette, che i melloblocchisti li ho visti da "fuori". Ho aspettato un paio di settimane a scrivere sul blog, perchè volevo lasciar sedimentare il tutto e vedere, a distanza di una quindicina di giorni, che cosa sarebbe rimasto del ricordo di questo evento. L'ho fatto e ora sono pronta a dire la mia. Ho anche assistito alle "povere" quattro polemiche che hanno fatto seguito ai giorni della manifestazione. Posso capire tutto e in genere sono una persona comprensiva, ma devo dire che certe osservazioni (quelle sui parcheggi, così come quelle dei fermi e degli arresti) mi hanno disegnato il sorriso in volto. Alcune polemiche hanno sfiorato il ridicolo, oltre ad essere totalmente gratuite, controproducenti (nei confronti dell'economia della Valle) e volte a far notizia (sì, parlo di quei quattro "giornalistucoli" della cronaca locale, che pur di far notizia si venderebbero la propria madre.... Critica palesemente riferita alla categoria di cui faccio parte, senza fare di tutta l'erba un fascio, ovviamente). 



Cosa ho visto io? Personalmente (sono arrivata mercoledì sera e ripartita domenica, al termine delle premiazioni) ho visto un'organizzazione abbastanza matura e in grado di far fronte alle piccole grandi problematiche che un evento del genere presenta (pronta a prendere atto di quello che non ha funzionato e di farne tesoro per l'anno prossimo). Ho visto anche un numero leggermente minore di espositori e questo mi spiace assai, ho visto tanti giovanissimi/giovani e meno giovani mettersi alla prova sui sassi. Ho visto ragazzi e persone educate (e lo voglio sottolineare, andando contro a chi dice che le persone che arrivano in Val di Mello in occasione del Melloblocco rovinano/deturpano la valle). Ne sono passati tanti, si dice addirittura 8.000. Voglio dire, 8.000 persone che hanno passeggiato, bevuto, mangiato, pisciato, ecc ecc... Guardate un po' come trovate lo spazio pubblico dopo, ad esempio, un concerto al quale hanno partecipato 8.000 persone (!!!). Avreste dovuto fare un giro in Valle, invece, domenica sera... e POI pronunciare sentenze. Ho visto ragazzi che dopo aver mangiato le patatine, sotto ad un sasso, rimettevano il "sacchetto vuoto" nello zaino e se lo riportavano a valle... Mentre invece ho visto ( e continuo a vedere) allegre famiglie di trekker che, durante la passeggiata domenicale, lasciamo la carta della caramella per terra, sul sentiero).



Tornando a noi, ho visto gente serena e con tanta voglia di scalare, di fare festa la sera, di divertirsi. Ho visto giovani molto più "sani" di quelli che mi capita di vedere quando entro in un a discoteca di sabato sera. Ho visto chi magari ha bevuto una birra di troppo ed è stato messo a letto dagli amici... e l'ho anche rivisto la mattina seguente, al bar, di buon'ora a farsi un caffè e lamentarsi di quanto era stato cretino... 
Ho visto gente che ha partecipato alle serate culturali, guardato i filmati, assistito alle presentazione dei libri. Ho visto quelli che si alzavano alle 7,30 di mattino per fare Yoga pre arrampicata. Ho visto tutto questo. Tra una foto, una pubblicazione su Facebook e una su Instagram, una condivisione su Twitter e un album su Flikr, ho visto questo.

E alcuni articoli dai toni polemici, i giorni successivi all'evento, mi hanno sinceramente disgustata. Non fatta arrabbiare, ma sorridere. Era evidente che chi ha scritto, chi ha pubblicato, lui, questo Melloblocco, non l'ha proprio vissuto!