L’incontro con Maurizio Zanolla, in arte “Manolo”: uno
dei volti più conosciuti dell’arrampicata sportiva mondiale. Arrampicatore, ma
anche sciatore, runner, bikers… Soddisfazioni e amarezze di una vita segnata
dall’arrampicata.
Un bellissimo ritratto di Maurizio by K. Dell'Orto |
Ho incontrato per la
prima volta Maurizio Zanolla su una pista da sci. Fa ridere, può sembrare
assurdo, ma è proprio così. Il Mago, la leggenda dell’arrampicata, se la
volteggiava su due assi da telemark, con tutta la delicatezza e l’eleganza che
contraddistingue questa specialità. Era il 22 febbraio scorso e Zanolla era
stato invitato in veste di “special guest” alla tappa livignese del Land Rover
Winter Tour. Io giornalista e blogger per l’evento, lui ospite speciale. Quando
seppi che il personaggio che quel fine settimana avrebbe rappresentato la nota
casa automobilistica inglese sarebbe stato Manolo, non volevo crederci. La
prima domanda, a mio parere lecita, fu “Cosa c’entra Manolo con lo sci?”. In
Italia, probabilmente nel mondo, il suo nome è indissolubilmente legato alla
roccia, alla verticalità, al free solo, agli “appigli ridicoli” e, al massimo,
al celeberrimo motto di Sector: “No Limits”.
UNO SPORTIVO A 360GRADI
Durante quel fine
settimana, invece, tra una pista e una risalita in seggiovia, Maurizio ha
raccontato della sua passione per lo sci, specialmente per il telemark. E’
strano immaginarselo mentre accompagna i clienti a fare scialpinismo sulle sue
montagne: le Dolomiti. D’altra parte Zanolla, non dimentichiamolo, è guida
alpina!
Se poi scopri che,
arrampicata a parte, ama anche andare in bici e correre, e che i suoi tempi
sono di tutto rispetto anche senza allenamento, allora decidi che “l’uomo
Manolo” ha tanto da raccontare e che vale la pena cercare di approfondire la
conoscenza.
Manolo in fuori pista by K. Dell'Orto |
Foto ricordo del Land Rover Winter Tour 2014/2015, con Manolo e Michela Toninel by K. Dell'Orto |
L’INCONTRO
E così ti ritrovi, ad un
paio di mesi di distanza, in viaggio alla volta del Trentino con il navigatore
puntato su una via a su un civico che apparentemente non esistono. Mappa
del paese alla mano, non senza qualche difficoltà, arrivi alla sua abitazione.
Poco distante dal centro
abitato e con vista sulle sue montagne, questa piccola perla nel cuore delle
Dolomiti è frutto del suo lavoro. Un vecchio maso tutto legno e pietra, il
recinto dei cani ed un piccolo orto con tanto di spaventapasseri intenti a fare
la guardia. Le pietre locali conficcate in verticale nel terreno, sulla strada
a fondo chiuso (chiuso da casa sua!), richiamano il profilo delle vette e danno
all’avvicinamento un non so che di mistico. Il tetto, dal quale pendono le
bandierine nepalesi, racconta di paesi lontani.
Fuori c’è lui, con la
bandana in testa e quegli occhi color ghiaccio, che aspetta sorridente. Sistema
i quattro carboni che ancora ardono sul braciere di fronte a casa e ti offre un
caffè in una tazza troppo grande.
Fare quattro
chiacchiere, seduti dinanzi alla sua baita, circondati da oggetti e foto che
per lui sono “normali” (ma a me sembrano “cimeli”) è emozionante.
Maurizio è un fiume in
piena: racconta, a volte anche saltando da un discorso all’altro, ma racconta.
Certo non è quell’essere schivo e solitario che alcuni amano dipingere. Forse
non un personaggio mediatico, poco uso al grande pubblico e non amante della
confusione, ma racconta e questo è quello che conta.
Dietro a lui, appeso al
muro in una cornice semplice, un disegno di Mauro Corona. In casa una scultura
rappresenta una figura umana, china su se stessa. Testimonianze di un’amicizia
importante, ricca di aneddoti e ricordi forse mai raccontati.
ph. by. Calza |
ALPINISMO, RISCHIO E CONSAPEVOLEZZA
Racconta così del suo
modo di concepire la montagna e di come questa concezione si sia evoluta nel
tempo.
“Sono un sopravvissuto, perché in montagna non esiste
l’essere sicuri al 100%. In montagna gli incidenti succedono e spesso non sono
prevedibili: il pericolo esiste, eccome! Quello che però ho sempre cercato di
fare, anche nel periodo in cui scalavo in maniera molto più rischiosa, è stato
imparare dai miei errori. Oltre all’evidente fortuna, necessaria anche nella
vita di tutti i giorni per sopravvivere, trovo che in un terreno selvaggio e di
avventura come quello alpinistico sia fondamentale avere una grande
consapevolezza di responsabilità, caratteristica che mi ha portato a compiere
scelte libere, ma che crescevano insieme a me, con la crescita altrettanto
lenta dell’esperienza. Credo che sia stata proprio questa mancanza di sicurezza
esterna che mi abbia portato ad averne una più solida, interna. Vivevo e
vivevamo (per scelta) una forma di alpinismo di rivolta, slegato anche dalla
sicurezza dei chiodi, lontano da qualsiasi contatto, in luoghi difficilmente
raggiungibili. Nessuno sapeva dove eravamo davvero e le decisioni erano
condivise e accettate dal compagno di viaggio. Non esistevano mezzi di
comunicazione e tantomeno di soccorso immediato, ma proprio per questo la
nostra attenzione era sempre altissima. Non avevamo molte informazioni ed
eravamo continuamente di fronte a scelte difficili (ma responsabili) e a noi
questo in fondo piaceva”.
ph. by M. Mocellin |
“E’ stato un percorso voluto e cercato, eravamo liberi
di vivere la nostra esperienza, magari in bilico fra il coraggio e
l’incoscienza intrinseca di quell’età, ma che sicuramente ci ha aiutato a
superare preconcetti e difficoltà. Gli errori servono e mi sono serviti per
crescere: chi non sbaglia mai è sicuramente qualcuno che delega ad altri decisioni
e scelte. Dagli errori e dalle sconfitte, anche da quelle piccole e personali,
si impara e si cresce, anche se purtroppo non tutti riescono a crescere
attraverso l’esperienza vissuta. Se devo essere sincero non mi sono sempre
comportato in un modo razionale in quei luoghi, ma non ho mai delegato a
nessuno questa responsabilità e tantomeno quella di un fallimento e a
volte solo questo mi ha permesso di riuscire. Da soli la montagna è più
pericolosa, ma la scelta è più facile e non è condizionata da nessuno: viene da
una decisione interiore e istintiva arricchita appunto da un approccio di
umiltà e rispetto con l’ambiente ed è un vantaggio…”.
Fare, sbagliare, imparare
per non sbagliare più: una filosofia che è anche una lezione di vita.
QUESTIONE DI FISICO O DI TESTA?
Allenamento o bravura?
Manolo non ci pensa due volte…
“Il talento da solo non porta da nessuna parte. Con la
motivazione, il sacrificio e l’allenamento si possono sì raggiungere grandi
traguardi, ma alla fine se mancano talento e forza mentale è davvero molto
difficile. C’è chi nasce naturalmente portato per la verticalità, chi per
essere veloce e chi per essere resistente. Io ad esempio non mi sono mai
allenato in maniera seria durante i primi anni, le prestazioni sono venute da
sole, arrampicando. Ho sempre amato camminare, andare in bicicletta e anche
correre, attività che ho sempre svolto con grande (a volte addirittura esagerata)
intensità e non credo che questo mi aiutasse molto nell’arrampicata sportiva.
Solo negli ultimi anni, per fare le ultime prestazioni, ho iniziato ad
allenarmi in un modo specifico e mirato. Anche se i tempi di recupero si sono
rivelati molto, troppo lunghi ormai. L’allenamento estenuante ha inoltre
peggiorato la salute già precaria di tendini e legamenti”.
ETERNIT: LA VIA-MANIFESTO DELL’ARRAMPICATA IN PLACCA
La sua attività culmina
il 24 agosto 2009 con Eternit, nella falesia del Baule. Verticalissima,
liscissima, con appoggi e appigli quasi inesistenti, questa via è la massima
espressione del suo stile di arrampicata. Gradata 9a e ancora irripetuta (anche
da Adam Ondra, considerato tra i più forti, se non il più forte, al mondo), Manolo
l’ha definita come “la via che apre la
scalata su placca verticale ad una nuova dimensione, oltre che un itinerario
estenuante, che fa male alle dita, ai piedi e alla testa”. Eternit ha
richiesto uno sforzo estremo, unito a tempi di recupero molto lunghi.
Definita da Andrea
Gallo, che ha assistito Manolo in una delle salite, il manifesto dell’arrampicare, questa via non richiede semplicemente
allenamento, quello non sarebbe di per sé sufficiente, ma padronanza totale del
gesto arrampicatorio in relazione al tipo di roccia.
ph. by Zorzi |
Ad Eternit, il tuo
ultimo capolavoro, sono purtroppo seguite delle polemiche. A queste tu non hai
mai voluto rispondere apertamente. Vorresti ora prendere una posizione e
controbattere un articolo pubblicato senza che nulla ti fosse chiesto e che ha
screditato (agli occhi dei diffidenti e malpensanti, non di chi ovviamente ti
stima) la tua immagine?
“Per quanto riguarda Eternit cosa vuoi che ti dica… io
non sono l’unico frequentatore della falesia… Trovo invece molto strano che un
direttore di un’importante rivista del settore, in 20 anni, non mi abbia mai
fatto nemmeno una domanda, una telefonata, insomma non mi abbia mai parlato o
chiesto nulla. Posso comprendere una decisa antipatia ma non la trovo una
grande correttezza professionale. Mi sembra piuttosto arrogante il fatto di
trovare impossibile un passaggio perché manca una crosta grande come mezza
unghia se non l’hai mai provato com’era prima (anche se credo che le cose non
cambierebbero nemmeno se ci fosse ancora). Tra l’altro stiamo parlando solo della
parte bassa, quella più facile, di “Ho ce l’hai o ne hai bisogno”, ed è solo
l’avvicinamento alla via vera e propria. Quel passaggio potrebbe anche essere
diventato più facile e… se invece è diventato così insuperabile, come posso
averlo ripetuto dopo quasi tre anni di inattività a quei livelli e poco dopo
uno stop di 6 mesi per doppia frattura al gomito e la rottura di una costola?
Senza calcolare l’età naturalmente! E questo lo possono confermare almeno
quattro arrampicatori, fra i quali Adam Ondra. Ma soprattutto: chi ha detto che
quello sia l’unico modo per passare e che sia il più facile? La morfologia
ed i metodi usati possono rendere molto soggettiva la difficoltà. Alla fine
credo che Eternit sia una bellissima via e che abbia segnato davvero un cambiamento
in questo tipo di scalata, almeno per me. Non ha nulla a che vedere con tutte
le altre salite di questo genere che ho realizzato, per difficoltà ed impegno
(forse Roby Present l’avvicina un po’, ma è comunque molto diversa). A volte è
solo questione di provare senza pregiudizi e senza pretendere di riuscire
subito e comunque. Eternit è una bellissima via e forse merita più rispetto.
Voglio raccontarti un aneddoto…Un giorno, salendo per
provare un altro progetto che avevo in una falesia più avanti, ho incontrato
casualmente un arrampicatore che stava provando da solo top rope la via e mi
sono fermato molto in disparte incuriosito a guardarlo. Poco dopo se ne è
andato, ma la cosa l’ha talmente indispettito che pochi giorni dopo mi ha
inviato una mail di insulti e minacce, dai termini piuttosto volgari .Strano
anche questo…”
ph. by K. Dell'Orto |
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