Pizzo Redorta (3038 mt) dal Canalone Ovest
Sono 4 anni che lo vedo lì. La finestra della cucina del Brunone è un quadro sul Redorta. Da lì lo vedi per bene: i due gendarmi, la normale, il canalone ovest dal quale, a sinistra, si distacca il centrale, può stretto e tortuoso. Ogni anno lo vedo e dico “domani salgo anche io”. Tanto lo dico quanto, puntualmente, non lo faccio: c’è sempre un piatto di pasta da fare, un cliente da ascoltare, una coperta da piegare.
E invece, finalmente, questo fine settimana si è presentata l’occasione. Fuori dal rifugio il suono del corno riempie di note la vallata. C’è il gruppo di Orobie, che sta concludendo il suo tour itinerante per i rifugi. E lo concludono proprio qui, in quello che Moro definisce il più rifugio tra i rifugi, insieme al Coca.
Tornare qui mi regala il sorriso, sempre. La sera servo ai tavoli e zompetto tra la cucina e la sala da pranzo. Le gambe, nonostante la salita (incredibile!), non mi fanno male. Domani, alle sei, parto e stavolta salgo per davvero!
I bei sogni vengono stroncati alle 5 invece, dal gruppetto orobico che ha deciso di salire per la normale. Si alzano, preparano gli zaini, fanno colazione. Nelle mie orecchie risuonano i tintinnio dei cucchiai, le cerniere degli zaini… tre due uno mi alzo.
Entro in sala da pranzo che sembro un fantasmino (da come mi osservano), lego i capelli ad arte spettinati, metto gli scarponi e bevo una tazza di the con tanto zucchero. Parto.
Il gruppo capitanato dal Valoti, che di roccia orobica ne sa parecchio, sta a dieci minuti di distanza da me. Ci ricongiungiamo sul limite del nevaio, per calzare i ramponi (acci, ma cosa è che quando li metti non sono mai della misura corretta e li devi regolare? Ci litigo 5 minuti, ma poi i ramponi sono ai piedi).
Partiamo insieme, loro per la normale, io per quel canalone ovest che vedevo sempre dalla finestra della cucina… Essere qua, ora, è proprio bello. Respiro, finalmente respiro. La notte ha piovuto, per cui la neve è dura, un paio di calci ogni volta per far entrare bene le punte dei ramponi. L’aria è fredda, non gelida. Si sta bene. Fotografo per ‘ultima volta il manipolo che, in fila indiana, sale per la normale, prima che si infilino dietro il versante.
Salgo salgo. Tengo la destra e passo proprio sotto i gendarmi dove c’è il risalto roccioso (che non tocco neanche perché sfrutto una lingua di neve). Nella seconda parte il canale spiana e poi, gli ultimo 50-60 metri, impenna. La neve è dura dura e tiene benissimo. Picchio giù la becca, sento le dita che fanno male e sorrido di me stessa nel chiedermi perché non ho portato la picca col manico leggermente ricurvo…
Dalla sommità del canale guardo verso il basso, hiiii non bisogna mica cadere qua. La cresta rocciosa… ci sono. La cornice si è ritirata e lascia un crepaccio tra la distesa nevosa e la cresta di sfasciumi. Poi c’è qualche passaggio su roccette, ma sai, coi ramponi, devo comunque fare attenzione. La guardo un minuto…Mmmmm… Decido di rimettere via la picca per avere libere le mani e, naturalmente, anche la Reflex deve entrare nello zaino (e fu così che vidi il copri obiettivo rotolare giù… Ffff!!!). La cresta è affilata, qualche passaggio su roccia, una lingua di neve, ancora un risalto su roccia di qualche metro ed eccomi col naso attaccato alla croce di vetta. Uno dei tremila orobici… mi piaaace!!! Dall’altra vedo giungere il Valoti e il gruppone… A mettersi d’accordo non saremmo arrivati insieme in vetta.
Sono stanca ma contenta, tante strette di mano e tante foto (anche una bellissima e inaspettata, by Matteo Zanga, dove… dove sono proprio io, con quella faccia stanca e svarionata, ma FELICE, tipica di quando vado in montagna).
Scendiamo insieme per la normale, fino al rifugio, dove riesco persino a farmi scattare una foto con il mitico Mario Curnis. Poche ore, tante, troppe emozioni.
Ta’
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