Diff. VI max.
Avevo appeso le scarpette al chiodo. Me ne ero convinta. Da quattro mesi vedere foto di vie non mi dava più alcuna emozione. Zerooo! Poi, un paio di settimane fa, contatto il mitico Belingheri (capo servizio sport de L'Eco di Bergamo) e gli propongo un pezzo sul Melloblocco. Non mi risponde subito. Insisto un po', raccontandogli che sono tantissimi ì bergamaschi che vi partecipano, che se vuole gli faccio una lista, che non si può non parlarne. Quando la fatidica lista di partecipanti arriva ad una cinquantina, il Beli mi dà l'ok.
Nel frattempo, grazie a Raffo scopro l'esistenza di un tal Federico Madonna, nativo di Alzano, morto giovanissimo, tra i primi sassisti della Valle. C'è la storia. La storia mai scritta. Non sto più nella pelle.
Incontro Ennio Spiranelli e Jacopo Merizzi, i quali mi forniscono informazioni e foto.
Nasce così la storia di Federico, apprezzata da L'Eco e pubblicata in una pagina interamente dedicata al Melloblocco (e riportata di seguito), e... magia... torna la voglia di scalare!
Un talento straordinario e una forza esplosiva, uniti a quel pizzico di irresponsabilità che caratterizza i fuoriclasse. In soli due anni riuscì a far capire a tutti di che pasta era fatto. Di cosa sarebbe stato capace, purtroppo, lo si può solo immaginare. Federico Madonna, nativo di Alzano Lombardo, classe 1961, morì infatti non appena compiuti i 18 anni, in un banale incidente in canoa. Troppo presto per passare alla storia. Troppo presto perché si potesse scrivere di lui. Ma ciò non significa che lui, Federico, non abbia lasciato un’impronta di sé in Val di Mello. Fu il primo bergamasco a salire quelle pareti e ad arrampicare sui sassi, oltre ad essere il più veloce sassista di sempre.
Ricostruire la vita di questo ragazzo non è facile. La sua storia è passata di bocca in bocca, ma il tempo tende a cancellare i ricordi, rimasti vividi solo nella mente di chi lo ha conosciuto.
“Era uno sportivo eccezionale– racconta l’alpinista Bergamasco Ennio Spiranelli, di Nembro –Il padre, proprietario di una macelleria ad Alzano, raccontava che, da quando il figlio aveva scoperto l’arrampicata, lo trovava spesso ad allenarsi, nel retro della macelleria. Io lo vedevo in Cava, a Nembro, scalava sulla parete che ora, in sua memoria, porta il suo nome”.
Federico era giovane, forte e rivoluzionario, in aperto contrasto con gli ambienti conservatori di quell’alpinismo classico nel quale predominava la competizione per il raggiungimento della vetta, che si ostinava ad utilizzare lo scarpone rigido e che arricciava il naso davanti alle moderne scarpette da arrampicata che già spopolavano tra gli scalatori della Yosemite Valley, in America.
A cambiare la sua vita fu l’incontro con Jacopo Merizzi, qualche anno più grande di lui, oggi guida alpina e memoria storica della Val di Mello. Con lui, Federico conobbe la Valle, sposò immediatamente l’etica dei sassisti e trasferì lì, per due anni, tutta la sua attività alpinistica.
Ha raccontato di Federico con naturalezza, come di un fratello minore. Gli occhi tersi come il cielo nelle belle giornate di sole, però, mal celavano la commozione.
“Federico era istintivo, saliva, senza pensarci due volte. Era il periodo esplorativo della Val di Mello. All’epoca gli alpinisti erano solo di passaggio, diretti verso gli imponenti Badile, Cengalo, Picco Luigi Amedeo. Guardavano di sfuggita le pareti della Valle, considerate inaccessibili: placche di solido granito, liscio e improteggibile. Non una tacca su cui appoggiare lo scarpone, non un appiglio da stringere. Fummo noi “sassisti” che, a partire dal ’75, iniziammo a pensare di scalarle. Con le scarpette, ovviamente, non con gli scarponi. Volevamo cambiare il modo di arrampicare, spingerci dove l’alpinismo classico neppure osava immaginare e Federico si unì immediatamente a noi”.
Insieme al gruppo dei “sassisti” Federico scalò molte vie aperte in quegli stessi anni in Valle. Vie che ancora oggi incutono timore. A lui si deve l’apertura della storica “Patabang”, di difficoltà non elevatissime ma poco ripetuta perché completamente improteggibile.
Sulla Presolana esiste anche la via “A Federico”, aperta in memoria del giovanissimo fuoriclasse bergamasco da Ennio Spiranelli, nel 1981.
VIA I PUNTI DI BERTI AL MONTE PIEZZA, IN VAL PREDA ROSSA
La via sale a sinistra delle più famose (e più interessanti Ottobre Rosso e Cattoalcolisti), ma come ho detto, dopo i mesi di ferma, l'obiettivo non era certo la "viona" ma bensì vedere come fosse la sensazione di appoggiare nuovamente le mani sulla roccia.
Una bella sensazione: il calore del sole, la brezza leggera, i panorami immensi.
La via è chiodata a spit, a tratti un po' lunga, ma anche integrabile.
Si sale su placche di granito lavorato, alternate da tratti a gradini e un paio di cenge erbose. Interessante l'ultima lunghezza, una bella lama (passi di VI), ben spittata e, qualora necessario, proteggibile con friend piccoli seguita da una bella placca lavorata (V+).
Ta'
Nessun commento:
Posta un commento